Un blog per vendere all'estero

Vendere all'estero è una grande opportunità per le aziende italiane, tutte, specie quelle artigianali, piccole e medie.
In questo blog lavoreremo insieme per trovare la strada migliore e avere successo con facilità.

Tra vent’anni sarai più deluso delle cose che non hai fatto che di quelle che hai fatto. E allora molla gli ormeggi. Lascia i porti sicuri. Lascia che gli alisei riempiano le tue vele. Esplora. Sogna

Mark Twain.


sabato 29 settembre 2012

La strada per vincere la sfida della crisi





Costruire una rete di imprese per andare all'estero 
è un passaggio fondamentale per la PMI oggi, per ridurre l'investimento e aumentare l'efficacia.
Il suggerimento è seguire questi 7,5 punti essenziali della strategia per esportare: clicca per leggere.

E dedica qualche minuto per ascoltare che cosa consiglia il patron di Technogym per tornare al successo.




In questa intervista, realizzata da Stefano Barisoni a focus Economia (Radio24) venerdì 28 settembre 2012, Nerio Alessandri spiega la strada che gli imprenditori italiani devono seguire per uscire dalla crisi, come e dove esportare


Vale i 5 minuti che vi chiede di investire. Clicca qui sotto per ascoltare.





giovedì 27 settembre 2012

Digital market trampolino per il successo


Intervista con Paola Peretti

  

Blogger, scrittrice, direttrice del laboratorio sul Digital Marketing presso l’Università Cattolica di Milano, personaggio della rete, di recente autrice del saggio Marketing Digitale, Paola Peretti ci spiega come l’approccio in rete sia ormai la frontiera che anche le PMI possono, e devono, superare per guadagnare vantaggio competitivo.

Può darci in 140 caratteri, o poco più, la definizione di marketing digitale?
Il marketing digitale identifica l'insieme di attività che attraverso l'uso dei diversi canali digitali consentono di individuare e mappare costantemente i bisogni della domanda, a facilitarne gli scambi in modo innovativo, costruendo con la stessa una relazione interattiva che genererà valore nel tempo.

Perché è necessario cambiare il paradigma di comunicazione oggi?
Perché il consumatore è già al centro dei mezzi di comunicazione, è lui che ruota intorno ai diversi media scegliendo come usufruirne, quando e perché. Le organizzazioni devono imparare ad ascoltare, connettersi e coinvolgere i consumatori dal basso seguendo un processo "bottom up", dove ogni attività è pensata come parte di un'esperienza più ampia e dove tutto si integra, niente si duplica. 

In che modo il web  e il marketing digitale possono essere una risorsa per le PMI?
Le piccole e medie imprese possono avere accesso ad un pubblico più ampio e targettizzato, abbattendo i costi di marketing e comunicazione. I canali digitali consentono ai clienti di trovare i fornitori/partner e questo per una PMI è un elemento fondamentale. Anche in questo caso però è l'approccio che deve essere differente, un piano di digital marketing può voler dire "farsi raggiungere in maniera mirata, costruire un network intorno ai prodotti/servizi offerti" e non far sapere semplicemente che si esiste. Implica anche la possibilità di offrire servizi online che consentono di velocizzare i processi di comunicazione e i tempi di risposta per le richieste dei clienti. Infine le PMI possono anche utilizzare il digital come canale di vendita, il caso di Blomming, il social commerce tutto italiano, né è un ottimo esempio.

Qual è l’impostazione strategica, il cambio di mentalità, l’approccio nuovo che deve avere una azienda che decide di impegnarsi in una attività di marketing digitale? Che cosa deve cambiare nel suo modo di agire rispetto a prima?
Il cambiamento è radicale, deve essere attivo e non passivo, deve testare e sperimentare, deve per forza crescere analizzando con costanza i risultati e l'evoluzione dei comportamenti dei consumatori nella rete. Deve ascoltare e comprendere prima di agire. E infine non deve avere paura di misurarsi con canali e strumenti che non conosce. 

Quali gli errori più comuni da evitare?
Pensare che un piano di digital marketing consista nell'aprire una pagina Facebook, un canale Twitter, un account Pinterest e un profilo LinkedIn e poi aspettare che qualcosa succeda. E magari postando lo stesso contenuto uguale in ognuno di questo. E' questo l'errore più grave e spesso il più comune. Occorre avere una strategia, dare ruoli diversi al brand nei canali digitali e soprattutto non necessariamente utilizzarli tutti, fare delle scelte è fondamentale.

Nel suo libro parla di 5 step chiave per costruire un piano di marketing digitale: ce li può riassumere?
I 5 passaggi chiave sono: capire, definire, costruire e promuovere, misurare e crescere. La comprensione e l'analisi legata all'ascolto è fondamentale per poi definire il piano e la strategia, quindi occorre scegliere i canali e costruire quindi lavorare sul contenuto e sull'esperienza e la fruizione, misurare costantemente è il fattore critico di successo, l'unico che consente insieme al coinvolgimento degli utenti di continuare a crescere.

Il momento presente indica che l'export è la strada da percorrere anche per le PMI anche per gli artigiani, gli stilisti: in che modo il web e il marketing digitale potrebbero essere utile per loro?
Come ho detto in precedenza il web consente di essere trovati dai clienti e non solo da quelli italiani. Un qualunque widget che traduce nelle diverse lingue, inserito in un semplice sito web, consente ad un'azienda di comunicare con i diversi paesi nel mondo. Impostare inoltre delle campagne targettizzate con keywords nelle diverse lingue aiuta molto in questo percorso, a cui aggiungerei azioni di digital pr.

Come impostare una attività di marketing digitale per l’export: i cinque punti chiave secondo lei?
  1. Definire obiettivi specifici e misurabili e chiari anche nel timing
  2. Mappare e analizzare la rete rispetto al proprio settore e al tipo di clienti che si vogliono raggiungere
  3. Studiare una strategia specifica che permetta di essere visibili nei canali digitali prescelti
  4. Connettersi
  5. Coinvolgere davvero le persone che entrano in contatto con l'azienda, spesso questo punto è quello che si trascura maggiormente ed è invece il più importante, l'unico in grado di dare velocemente un impatto sul business.


Quali sono i prerequisiti che devono avere questa tipologia di aziende per accedere ad un progetto di marketing digitale?   
Affidarsi a qualcuno (professionisti, agenzie) che abbia davvero le competenze per lavorare su un progetto di marketing digitale, stabilire un investimento minimo e creare sinergie con le attività che vengono svolte offline e anche con le persone che si incontrano offline. Potremmo dire che strategia, partner e integrazione unito alle risorse sono i prerequisiti principali.

Le PMI impegnate nel B2B possono trovare vantaggi nel includere il web nelle loro campagne di marketing? come? 
Possono ridurre il costo per contatto utile notevolmente e semplificare i processi legati al pre-acquisto, all'acquisto e alla fidelizzazione nel tempo.

E da ultimo come integrare un piano di marketing digitale con azioni di marketing nella vita reale?

Come dicevo in precedenza l'integrazione è importante, anche un meeting, un evento, una fiera possono diventare momenti di scambio utile per ottimizzare contenuto e modalità di fruizione dell'esperienza online. Bisogna ricordarci che ormai, con lo sviluppo degli smartphones, siamo sempre connessi è un continuum, per cui le occasioni per integrare sono costanti e molteplici.

mercoledì 26 settembre 2012

Esportare con successo: la strategia in 7,5 punti




Andareall’estero in rete si diceva: ma come?
Qual è la strategia da seguire?
La sintetizzo in XX passi, che vorrei esplorare poco alla volta in seguito con il vostro contributo.
Su che cosa basare la strategia? 
Sulla propria differenza, sul proprio valore aggiunto. Capire quale sia il fattore che permette di uscire dalla trappola del prezzo e individuare clienti che possano apprezzare questo vantaggio ovunque nel mondo.

Vediamo i 7.5 punti principali da non trascurare. Mai.

1)  Comprendere il proprio valore aggiunto: perché i clienti fedeli continuano a comperare da me? Che cosa vedono nella mia qualità che io stesso non riesco a vedere?

2)  Quali altri vantaggi posso presentare al mercato al di là del prodotto? I tempi di consegna? La rapidità nelle risposte? Il tipo di imballaggio? La documentazione di accompagnamento? La soluzione che propongo permette in qualche modo di far aumentare l’efficienza o i margini al cliente?
Corollario 2 bis) posso apportare piccole modifiche al mio modo di lavorare, senza necessità di investimenti, che producano grandi vantaggi al cliente?

3)  Quale tipologie di clienti apprezzano i vantaggi descritti e raccolti nei punti 1 e 2?

4)  Dove trovo questi clienti nel mondo? Dove sono presenti in numero maggiore e con una concentrazione maggiore? Come li trovo e li contatto?

5)  Come faccio a raggiungerli? Quali sono i canali che mi possono permettere di connettermi con loro?

6)  Che documentazione devo preparare per rendere chiara la mia differenza e la mia qualità? Come devo formare i venditori a evidenziarla e a portarla in primo piano?

7)  Come faccio a sostenere la mia reputazione grazie alla rete? Come costruire una campagna di web marketing che amplifichi la mia differenza di approccio?


Esploreremo uno per uno questi punti anche grazie ad interventi ed interviste. E ai vostri commenti.

lunedì 24 settembre 2012

In rete per l'export


Insistono da mesi i quotidiani nazionali a spiegare che la strada per uscire dalla crisi passa dall’aumento dell’export. 
Anche in data 24 settembre Dario di Vico scrive che persino nel comparto alimentare ci facciamo battere dalla Germania per volumi di merce esportata. Ed è noto che la qualità del cibo tedesco non è certo superiore a quello dei nostri prodotti alimentari.

Perché allora questa difficoltà, a volte incapacità, di andare all’estero?

Il perché lo abbiamo ribadito molte volte e in molti modi. 
Vediamo se possiamo suggerire qualche soluzione.

Un problema da superare oggi è quello dell’investimento iniziale in consulenza per predisporsi al meglio e definire una strategia corretta che faccia poi fruttare al meglio il denaro e le opportunità.

Un modo per ridurre questa cifra, che finanzia una attività indispensabile e vitale per tutto il processo di export, può essere quella di fare rete: di costruire una rete di aziende sinergiche e simili, al limite anche concorrenti ma questo è un elemento che si può evitare, e assumere insieme i servizi di un consulente che lavori per tutte insieme. 

Poiché una buona parte dell’investimento dipende dai viaggi e delle ricerche di mercato necessarie per individuare luoghi e approcci migliori, la spesa andrebbe ripartita su aziende diminuendo sensibilmente la quota di ogni singola impresa.
Inoltre il fare rete permetterebbe di offrire ai clienti o ai potenziali canali distributivi un pacchetto più interessante e completo e permetterebbe anche di ridurre le cifre necessarie a partecipare a fiere, eventi, presentazioni.

Ad esempio rimanendo nel settore alimentare perché non costruire un paniere con produttori di vino, olio, formaggi, insaccati? E nel campo meccanico ad esempio chi lavora conto terzi differenti tipologie di metallo o differenti dimensioni di pezzi? Nel settore della moda vedo bene una sfilata di borse, scarpe, cappelli, abiti, cinture ad esempio. E le borse stesse: ce ne possono essere di molto diverse non concorrenti tra loro.

Perché non pensare ad una soluzione del genere?

giovedì 13 settembre 2012

Imprenditori: impariamo dal bar a costruire un business 2.0


Dal bar di paese al bar 2.0




Carolina è community manager e autrice di blog, tra i quali ricordo Sotto i fiori di lillà
In questo articolo, per il quale la ringrazio, ci descrive che cosa dovrebbe fare un imprenditore oggi partendo da un caso molto semplice



In questa fotografia antica è immortalata la piazza di Basiliano, un paesino del medio Friuli di circa 5400 anime, nel quale sono crescita per quindici anni. La crisi economica ha colpito i piccoli centri e le PMI e anche Basiliano ha subito l'onda della disoccupazione. In questi giorni, mi sono spesso soffermata ad immaginare cosa succederebbe se la rivoluzione digitale venisse accolta anche in questi minuscoli centri abitativi. Mi sono domandata come sarebbe trasformare il classico bar di paese in un moderno bar 2.0. Per rispondere a questa sollecitazione della fantasia, ho preso come punto di riferimento un locale molto noto in zona. I proprietari, inizialmente edicolanti, hanno saputo differenziarsi dagli altri commercianti investendo a più riprese nella loro attività, anche in tempo di crisi, ampliando i servizi offerti al pubblico. Molte delle caratteristiche di questa impresa a conduzione familiare potrebbero essere facilmente spendibili in chiave social. Immaginate come sarebbe, insieme a me!

Caratteristiche principali del bar. Un tempo il bar e l'edicola erano due edifici separati con due proprietari diversi. I biglietti del treno si potevano acquistare solo nella stazione ferroviaria. Oggi, i due locali sono uniti, con l'aggiunta di una macchina automatica FS per i biglietti Udine-Venezia/Trieste e delle slot machine. L’edicola è diventata un bar in cui è possibile acquistare giornali e riviste, oggetti di cartoleria, libri, biglietti ferroviari. Il tifoso dell'Udinese e della squadra di calcio comunale può trovare pubblicazioni e gadget.

La posizione centrale del bar-edicola è penalizzata dall'assenza di parcheggio. Tuttavia, vi sono due ampie zone con strisce bianche a poca distanza. All'interno, l’antica corte contadina è predisposta per accogliere tavolini e chiacchiere al femminile. I principali concorrenti, la gelateria, i due bar-trattoria sono penalizzati dal frequente ricambio di proprietari e personale. Il bar in esame ha una storia trentennale alle spalle, iniziata dai giornali e proseguita con l’innesto della ristorazione. La sua fortuna si basa sulle relazioni interpersonali e sulla fiducia coltivata nell’arco di decenni dai padri e dai figli della famiglia.

Un bar 2.0. Volendo "piegare" l'attività in un'ottica 2.0 è importante partire dal riconoscimento degli argomenti e dei contenuti interessanti da condividere e sviscerare. In questo caso, abbiamo tre macro aree: l’editoria, la ristorazione, i servizi. A questi si aggiungono gli spazi promozionali per le attività sportive e culturali che si svolgono a Basiliano e in Friuli Venezia Giulia. Questi argomenti potrebbero colorire le pagine di un blog ben indicizzato, contribuendo a creare comunità e interesse, sfruttando l’assenza del web 2.0 nelle attività commerciali nel raggio di chilometri. Chiamando in causa i filologi in loco, gli addetti all'onomastica e i letterati (e che molto hanno fatto per la lingua friulana nel Medio Friuli) si potrebbero creare articoli in doppia lingua; la classica vena ironica tipica friulana, quell'ironia così frequente nelle sceneggiature del teatro regionale, in particolare quando si tratta di evidenziare e ridere sulle pecche del mondo contadino, potrebbe essere l’asso nella manica del blog. Una collaborazione con la Regione e/o con i siti che promuovo il turismo nel Nord-Est potrebbe dare molta linfa al commercio.

Un bar 2.0 ha necessità di Facebook, di You Tube, di Instagram o Pinterest. La propensione 2.0 potrebbe dare lavoro anche a qualche appassionato di social media in loco e potrebbe aiutare a preservare i giovani talenti dall’espatrio o dall’abbandono della regione in cerca di maggiori sbocchi professionali in altre regioni italiane. Ovviamente, un singolo bar non risolve la disoccupazione in Friuli Venezia Giulia, ma potrebbe diventare un simbolo e, magari, essere in grado di vincere gare per l’assegnazione di fondi europei destinati a progetti innovativi o a sostegno dell’imprenditoria.

Alleanze. Sarebbe bello, infine, riuscire a coinvolgere tutte (o gran parte) delle attività commerciali di Basiliano, superando i limiti culturali e temporanei di divisione, individualismo e concorrenza, creando una sorta di comunità 2.0  nella quale convogliare tutte le forze per sopravvivere alla crisi. 

venerdì 7 settembre 2012

6 errori da non commettere per il successo della vostra PMI






Battere gli errori degli imprenditori: il punto di vista di Alexia Sasson




Alexia Sasson nata a Roma. Lavoro nel settore alberghiero nel marketing,coach,curiosa di nuove strategie e professionista certificata in PNL per passione



Vi capita mai di scambiare opinioni e punti di vista circa il settore lavorativo in genere?
Io, che sono una curiosa per natura, l'ho fatto per voi rivolgendomi ad un commerciante imprenditore del centro di Roma.
Che cosa differenzia un bravo imprenditore da uno mediocre, e qual'e' il modus operandi migliore che genera risultati positivi?
Nel mio colloquio con un amico commerciante e' emerso che gli errori più diffusi sono i seguenti:

1) evitare di occuparsi [ e preoccuparsi, aggiungerei io] della formazione del personale.
Se si vuole far la differenza e' fondamentale essere aggiornati e all'avanguardia.
Come hanno dimostrato alcun ricerche sulla cibernetica, l'individuo più forte in un gruppo e' sempre il più flessibile: più modi di vedere le cose si hanno e maggiore sarà la scelta e quindi una maggiore possibilità di controllare l'esito di ogni situazione.

2) abbassare il mark up credendo di guadagnare quote di mercato senza pensare che il servizio svolto ha un costo , e che nel tempo dovrà' comunque essere garantito. Comprereste voi un oggetto che se si rompe dopo l'acquisto non potete restituirlo ne' essere rimborsati? No, ovviamente.

3) pensare troppo spesso al solo aspetto finanziario e non al lato patrimoniale: ergo la guerra dei prezzi. Se vendo un prodotto sottocosto, che senso ha quello che sto facendo? Non sto fidelizzando i clienti , ma solo cannibalizzando in stile Wal -Mart il mercato.

4) lo stato equipara spesso le piccole e medie imprese alle grandi per ciò che riguarda gli obblighi normativi: perché i piccoli imprenditori non si coalizzano e fanno team al fine di generare una voce univoca che li tuteli piuttosto che farsi la guerra?

5) sovraesposizione bancaria: la banca decide di bloccare i finanziamenti e l'azienda crolla poiché' "paralizzata" .Ogni sana azienda dovrebbe avere un suo "gruzzoletto" per poter affrontare anche i momenti più bui che purtroppo capitano.

6) accentrare il lavoro su di sé e non delegare: i leader creano leader, insegnano come replicare le proprie vittorie . Gli accentratori appena distolgono la loro attenzione l'azienda crolla, poiché incapace di reggersi sulle proprie gambe.

Spero che questo post possa far riflettere e generare nuove soluzioni : insieme possiamo arricchirci delle  esperienze degli altri per non ripetere gli errori già fatti da altri. 

mercoledì 5 settembre 2012

I limiti delle PMI in Italia: come superarli





Battere gli errori degli imprenditori: il punto di vista di Luca Pagni



Luca Pagni giornalista di Repubblica, autore del blog Piccole Grandi Imprese è il primo degli autori che ci guidano dentro il mondo degli errori che un imprenditore non deve commettere per avere successo.
Premesso che sono più un "raccontatore" di storie di imprenditori che un analista di dati, un “cantastorie” piuttosto che un consulente societario, ammetto che non mi riesce difficile individuare limiti, difetti e lacune delle Pmi italiane.
Il limite delle dimensioni. "Piccolo non è bello, piccolo è solo piccolo". Per anni, l’ex amministratore delegato di Unicredit e ora presidente di Mps ha girato l’Italia dei convegni spiegando come la favola tutta italiana della piccola e media impresa che conquista i mercati fosse ormai al capolinea. In un mondo che si è allargato, le dimensioni contano eccome. Così come conta essere presenti su più mercati contemporaneamente. E che il piccolo finirà, inevitabilmente, per essere mangiato dal grande. O è destinato a soccombere. Per dirla in altri termini: oggi o una impresa ha come riferimento almeno il mercato europeo (come hanno saputo fare bene i tedeschi) oppure non è.
Il limite delle alleanze. Ma per crescere bisogna fare acquisizioni, meglio ancora, fare massa mettendo insieme coloro che fino al giorno prima si facevano la guerra per le quote del mercato interno. Ma non c’è nulla da fare: l’imprenditore medio italiano ha l’idiosincrasia alle aggregazioni tra pari. Piuttosto vende e si ritira, se non peggio. Mi è capitato di scrivere del distretto comasco della seta, messo in crisi dai prodotti cinesi. Le imprese sono rimaste a carattere familiare, quasi nessuna si è affidata a manager, non c’è stato verso di fondere le società migliori.
Il limite degli investimenti. Per crescere bisogna investire. Ma in questo campo, è noto, siano in fondo alle classiche europee. Tanto per dire: con l’ultimo scudo fiscale del "fiscalista" Tremonti solo il 5 per cento dei fondi riportato in patria sono stati investiti nelle imprese. Ma l’investimento è anche in risorse umane. Per cui si resta sempre molto perplessi quando imprenditori anche di successo non si rendono conto che l’azienda affidata a dirigenti esterni è salutare se i figli o le seconde generazioni non sono all’altezza.
Il limite della squadra. Anche qui nulla di nuovo. Le Pmi italiane preferiscono muoversi come lupi solitari. Non si fidano delle strutture pubbliche. E solo di recente hanno capito l’importanza di istituzioni come la Sace. Così finisce che nelle missioni ufficiali del governo si formano contratti solo per i grandi gruppi, magari quelli controllati da Tesoro.
Il Limite della finanza. Questo lo posso raccontare bene, perché mi è stato raccontato da un banchiere che si sta occupando proprio di "irrobustire" le Pmi. Gli imprenditori si scordino delle banche come partner finanziari per la crescita nei prossimi anni. Anche per il dopo recessione. Le nuove regole restringono il campo d’azione delle banche, così come i coefficienti di patrimonializzazione,. E le "storture" di Basilea III faranno il resto. I nuovi partner non potranno che essere private equity, venture capital per chi muove i primi passi, fondi pensione e fondi sovrani. I denari bisognerà chiederli a chi ce li ha.
Il limite del record. Mi si dirà: ma le imprese del nord-est, dei distretti, delle eccellenze hanno ripreso ad esportare, si muovo come se non meglio dei concorrenti tedeschi. Vero per le eccellenze. Ma le altre?

lunedì 3 settembre 2012

Evitare gli errori tipici dell'imprenditore





Che cosa vuol dire essere bravi imprenditori? Come battere la crisi? Come superare le difficoltà? Che cosa fare e che errori evitare per riconquistare il successo? Nessun segreto? La condivisione di esperienze può aiutare?
Se esistesse una formula magica e io la possedessi, o meglio molti ne fossero al corrente, probabilmente lo spread sarebbe inferiore ai dieci punti!  Certamente bisogna cambiare qualche cosa se è vero che solo chi sa guardare alla propria situazione con occhi differenti riesce ad avere successo, come testimoniano anche questi articoli: la riflessione, molto intelligente, di Dario di Vico sulla crisi dei commercianti e i dati relativi all’export delle PMI, che segnano la strada per uscire dalla crisi, pubblicati da Istat in agosto, e che trovate qui.
Si può ragionare insieme specie per difetto: questo perché la mente umana tende a escogitare con più facilità idee negative. Possiamo sfruttare questa caratteristica al meglio iniziando ad elencare ciò che di peggio ci può succedere per poi individuarne l’esatto opposto.
Per questo e per segnalare ciò che nella pratica è stato sperimentato come un assist al fallimento, ho chiesto a un nutrito numero di persone delle quali ho molta fiducia di raccontarmi la loro esperienza diretta, di consulenti o imprenditori, e aiutami ad elencare quali sono i peggiori errori che un capitano d’impresa potrebbe fare –o fa o ha fatto- per danneggiare la sua azienda.
L’idea nasce da questo articolo apparso in agosto sul blog Tech Crunch a firma di James Altucher che elenca i 7 fattori per un insuccesso assicurato. Ve li elenco con un mio breve commento prima di lasciare la parola, nei prossimi post, alla galleria di autori che condivideranno con noi le loro storie in merito.

1.   Procrastinare, non prendere decisioni: tutto cambierà, tutto passa, abbiamo sempre fatto così, il nostro mercato è differente… in altre parole il terrore di cambiare, la paura di modificare le proprie abitudini
2.   Zero-tasking: inutile, specie se uomini, inseguire la chimera del multitaskin, fare più cose contemporaneamente. Meglio concentrarsi su una sola e delegare
3.   Perseverare nell’errore: si dice che il successo nasce da una serie di fallimenti dai quali si è appreso. Vero. Ma fallire in questo caso non vuol dire ripetere con costanza il medesimo approccio sperando che il risultato sia diverso. Questa è la definizione di pazzia secondo Chesterton. Provare a considerare punti di vista differenti potrebbe essere la soluzione?
4.   Copiare:  benchmarking è una descrizione nobile ed esotica per dire copiare dalla concorrenza. E se cercassimo di avere una idea originale, magari con l’aiuto di qualcuno?
5.   Scarso networking: il mondo oggi è globale e social: senza una rete di conoscenze non si va da nessuna parte. Soprattutto verso il successo.
6.   Fare di tutto pur di ottenere una risposta positiva: a volte è bene mollare, tirarsi indietro, declinare: è meno doloroso un rifiuto che una vendita fatta con sconti che lasceranno pesanti conseguenze
7.   Giudicare male le persone: non si fa nulla da soli per questo è necessario imparare a giudicare le persone da ciò che fanno e dal valore che apportano.

Buon senso dite? Vero. Ma non vuol dire che il senso buono sia anche comune….