Un blog per vendere all'estero

Vendere all'estero è una grande opportunità per le aziende italiane, tutte, specie quelle artigianali, piccole e medie.
In questo blog lavoreremo insieme per trovare la strada migliore e avere successo con facilità.

Tra vent’anni sarai più deluso delle cose che non hai fatto che di quelle che hai fatto. E allora molla gli ormeggi. Lascia i porti sicuri. Lascia che gli alisei riempiano le tue vele. Esplora. Sogna

Mark Twain.


venerdì 29 novembre 2013

Nani giganti ed export: come imparare da chi ce l'ha fatta per avere "succexport"




Nani sulle spalle di giganti.
Una frase così famosa da finire per essere antipatica.
Eppure è così saggia. Indica una strada. Anche per l’export.
In fin dei conti ci suggerisce il benchmarking.
Vale a dire che prendere spunto da altri non è affatto un male. Né un disonore.
Perché l’esperienza la posso fare anche osservando gli errori e i successi altrui.
L’importante è guardare il prato giusto, per scoprire come mai la sua erba è così più verde.
E come si fa?
Il mio suggerimento è partire dall’individuazione del proprio punto di forza, e no, non è il mio prodotto.

Sono convinto che inizieremo ad avere successo quando usciremo dall’inganno nel quale ci rinchiudono parole che sembrano magiche e che invece sono incantesimi maligni, come quello che trasforma il regno della Bella in un incubo addormentato.

Qualità 
Innovazione 
Creatività 
Dinamicità 
Affidabilità

Sono gusci vuoti, non dicono nulla. E non differenziano in alcun modo. Quale dei vostri concorrenti non lo afferma. Sono prerequisiti, non valori. Il mercato se li aspetta, li impone. Non li considera un elemento distintivo.

Che cosa vuol dire qualità? Che i nostri prodotti non sono difettosi? Che funzionano? Che durano nel tempo? Che soddisfano le aspettative? Che vengono consegnati in tempo? Che costano poco? (già perché poi si afferma sempre che il rapporto qualità-prezzo è ottimale: e che cosa vuol dire?)

Il valore è quello che producete ai vostri clienti! 
Che cosa interessa loro e come li soddisfate? 

Il valore oggi è solo uno: 
è il modo in cui li aiutate a fare più profitto. 

E profitto nel caso del retail può anche voler dire più ottimismo, più benessere, più soddisfazione nella propria vita.  Se riuscite a trovarlo, troverete sicuramente chi in Italia ha già valorizzato qualche cosa di simile e capirete come lo ha fatto. Perché siamo un Paese creativo che genera e sostiene molte idee e che le fa fruttare bene.

E sarà uno spunto eccellente dal quale partire.

Siete nel campo dell’agroalimentare? Il vostro prodotto si qualifica perché è particolarmente dietetico, senza conservanti, senza glutine? Grom è il vostro modello. Una azienda che è partita con una idea fissa: valorizzare la genuinità a vantaggio del consumatore. E che dire di Eataly? Non ci insegna già che il nome è importante? Che deve avere alcune caratteristiche chiare: essere leggibile e pronunciabile ovunque nel mondo e immediatamente collegare a ciò che voglio promuovere. Se scelgo come brand un nome in dialetto fermano, che già a Porto San Giorgio non si capisce, come farò a conquistare Shangai, Londra e Los Angeles?

Quali altri esempi si potrebbero fare? 
Mi aiutate e aiutate i lettori a scoprire nuove idee e modelli?


mercoledì 20 novembre 2013

Il consulente serve o è solo un arrogante incompetente che ti fa perdere tempo? Ecco come capirlo





Chiariamo una volta per tutte: i consulenti non sono truffatori, non sono avversari, non sono giudici. 
Sono professionisti che sono utili per valorizzare le opportunità aziendali e moltiplicare e potenzialità.

La ragione di fondo è che oggi più che mai non si può essere esperti di tutto e non si possono avere in azienda tutte le esperienze necessarie. 

Se un supplemento domenicale di un quotidiano newyorkese contiene più informazioni di quelle che un colto e raffinato intellettuale del XVIII secolo era in grado di incontrare in tutta la vita, si può sicuramente affermare che ciò che andrebbe conosciuto nel business non può stare tutto in una azienda, specie in una PMI.

Il punto importante è 
che cosa ci si può giustamente aspettare da un consulente 
e che cosa è meglio non aspettarsi, che cosa pretendere e che cosa non chiedere.

Preciso innanzitutto che dal consulente non devi aspettarti competizione: non è una prova di forza per mostrare chi è più bravo, né tanto meno il suo compito è quello di emettere una condanna sul tuo operato.

Se partiamo dal presupposto che nella vita e negli affari si può sempre migliorare, allora il lavoro del consulente è nel mostrarti come le cose si possano fare meglio, che non vuol assolutamente dire che fino ad ora le cose sono state fatte male.

Anzi.

Io credo che il compito del consulente sia quello di aiutare al cliente a vedere da una angolatura diversa la sua situazione, il che il più delle volte può fare male. 

Ma il consulente non è lì per fare male, ma per aiutare a diagnosticare e a definire un nuovo modo di agire, nuove soluzioni, nuovi percorsi.
È del tutto inutile sprecare soldi per un consulente per sentirsi dire che va tutto bene o per competere con lui in competenza.



Il consulente va sfruttato per quello che può dare.

La formula che esprime le competenze di un consulente è molto semplice e la si può rappresentare come 

E=mc2   

vale a dire che ciò che può  darti un vantaggio, vale a dire la sua

esperienza
dipende, è uguale, è il frutto di
metodo, da conoscenze e da contatti.

Attenzione, ho detto  metodo, non modello

Il consulente che ti porta un modello va saggiato, a volte evitato come la peste. Perché il modello è come un’armatura che il consulente vuole a tutti i costi che la tua azienda indossi. Quello sa fare e quello vuole imporre. Un po’ come quel detto che per un martello tutti sono chiedi.
Il metodo invece no, è un approccio mentale, è la stoffa del vestito che ti va cucito addosso.

Il consulente studia, saggia, analizza, viaggia, impara: è costantemente proteso in avanti, cercando di capire le nuove tendenze e saggiandole nell’esperienza anche di altri prima di validarle. Non le rischia con te. 

La sua professionalità sta nello studiare le novità, prima solo con i libri, adesso anche con la rete (anche, non solo come spiega molto bene qui Dario Vignali).

Gira il mondo, trova contatti interessanti, sa essere un connettore, investe in questo. E te lo restituisce sotto forma di vantaggio per te.

Diffida di quei consulenti che sono aggressivi, che non hanno mai cambiato punto di vista, che ti propongono sempre il medesimo schema che ingabbia, che non si aggiornano. Che chiedono poco. Perché valgono poco avendo investito poco su se stessi. E quindi ti danno poco.


Che cosa puoi chiedere ad un consulente per l’export?

Non chiedergli solo che ti trovi contatti, lo può fare, ha investito del tempo nel trovarli e nel coltivarli.
Chiedigli anche di aiutarti a (in ordine sparso)
- posizionare il tuo prodotto
- aiutarti a scegliere i paesi dai quali partire
- adattare il tuo prodotto al gusto del paese
- preparare il business plan
- indagare su dazi, dogane, tasse
- trovare partner e canali distributivi
- stabilire una politica di marketing e promozione, una brand reputation
- capire normative e richieste specifiche
- ragionare sulla valuta
- scegliere come entrare in quel paese
- e probabilmente molto di più.


E tu che idea ti sei fatta dei consulenti? Che cosa vorrei sapere o che cosa ti rende scettico?

martedì 19 novembre 2013

La formula del consulente e il segreto per avere successo all'estero



“Gli imprenditori italiani oggi hanno paura e questo li porta ad essere confusi, aggressivi e presuntuosi, per quanto paradossale possa essere e con tutti gli alibi del mondo”.
Incontro un amico che stimo molto. Svizzero, vive nell’ Europa orientale, quella che sta crescendo e che costituisce un buon bacino per le imprese italiane, sia per l’export che per l’internazionalizzazione.
“Se sapessero quanto spazio c’è per crescere!” mi conferma, “dovrebbero solo avere il coraggio di lasciarsi guidare e di fidarsi. Invece quello che vedo è una grande paura di investire e una grande presunzione di sapere già tutto. Perché vedi l’impressione che mi sono fatta girando l’Europa occidentale per sostenere le imprese che vogliono sfondare a Est è che altri popoli non hanno paura a rischiare tirando fuori i soldi dalla banca e mettendoli nella loro impresa. Gli italiani invece tengono in banca o sotto il materasso l’eredità della nonna e non hanno più voglia di rischiare. E questo li porta ad un altro atteggiamento conservativo: eravamo bravi un tempo quindi lo siamo anche oggi. Non è più così”.
Il mondo c’è cambiato attorno: gli ultimi tredici anni –prendiamo come frontiera l’inizio del millennio- ha cambiato le regole. Oggi avere un buon prodotto non è più condizione di successo, ma prerequisito. Oggi non conta la qualità, quella è imposta, conta la reputazione.
“E gli italiani non sanno fare marketing. Pensano di sapere tutto e soprattutto di sapere più di te. Finiti gli anni in cui non serviva sapere nulla dei mercati e del marketing perché il prodotto si vendeva da solo. Oggi si deve imparare un modo nuovo di vendere. Specie all’estero dove ormai gli italiani sono visti con diffidenza e sospetto. Colpa della vostra situazione politica ma anche di alcuni spregiudicati che cercano solo il colpo senza costruire relazioni”.
E i consulenti?
“Posso dare l’impressione del conflitto di interessi, ma oggi i consulenti sono indispensabili. Non si può sapere tutto di tutto e devi affidarti a persone, competenti e fidate, che ne sanno più di te in modo trasversale”.
Il consulente studia, impara, affina, conosce ed elabora. La sua formula è semplice: E=mc2   vale a dire che l’esperienza che possono portare a tuo vantaggio deriva da un metodo, da conoscenze e da contatti.
“Ecco, dobbiamo combattere una battaglia culturale in Italia per far capire che senza una guida non si va da nessuna parte, non da soli. Altrimenti resterete indietro in Europa e nel mondo”.

Lo accompagno fuori e con sconforto lo vedo cercare con affanno un taxi che accetti come pagamento la carta di credito. Nella città dell’Expo 2015.

sabato 9 novembre 2013

Basta pensare al prodotto: se vuoi esportare punta sulla reputazione



Basta pensare al prodotto!

Noi italiani siamo fissati. Ci riempiamo la bocca con parole come “qualità”, “gusto”, “eccellenza”. Certamente tutto questo nasce da un grande amore per ciò che facciamo.
Dobbiamo però capire una volta per tutte che di tutto questo non frega niente a nessuno!
Mi contattano persone che mi chiedono di aiutarli a vendere all’estero.

La cosa mi rallegra per due ragioni:

a)    abbiamo capito che dobbiamo per forza puntare su mercati al di là delle Alpi
b)   beh, lasciatemi gongolare un po’….. ;-)

Ma bisogna uscire dalla logica del prodotto. La prima domanda che faccio quando mi viene chiesto che cosa si deve fare per esportare è:

per quale ragione i clienti dei paesi che stai considerando dovrebbero comperare da te invece che da un fornitore locale che conoscono da anni?

E se le risposte sono solo di questo tipo

a)    perché la mia qualità è eccellente
b)    perché il prodotto è buono
c)     perché è certificato da enti famosi
d)    perché è italiano

vuol dire che siamo sulla cattiva strada.
Se poi, quando chiedo quale sia il budget che hanno previsto per la promozione e la costruzione della reputazione del brand, la risposta che ottengo è ZERO, allora

sconsiglio fortemente di avventurarsi in attività di export.

Il mondo è invaso di prodotti buoni, eccellenti. La qualità è una caratteristica senza definizione. Nel solo campo agroalimentare i prodotti simil-italiani sono infiniti. Come possiamo pensare di vendere un eccellente olio, un vino squisito, un miele raro, una salsa riconosciuta presidio slow food senza prima farsi conoscere come marchio?

Il problema non è avere un prodotto buono, il problema è farlo sapere a tutti.

Buono poi è un concetto troppo labile e diluito: che cosa è buono? Quello che piace a me.
Siamo sicuri che in America, in Brasile, in India, in Romania piaccia il miele, l’olio, il formaggio, il vino che piace a noi?
Come posso proporre un catalogo di 48 diversi tipi di pasta a paesi che quando vengono in Italia mangiano solo lasagne e pasta alla bolognese e non distinguono un maccherone da un bucatino?

Basta parlare di prodotto. Fino a quando non inizieremo a parlare di marketing, di brand, di reputazione saremo destinati a finire in coda alla scrivania degli acquisitori, a non essere presi in considerazione, a dover negoziare con sconti sempre più alti, ad accettare il conto vendita.


E questo non lo meritiamo.