Prossimo post Lunedì 19 Dicembre
Abercrombie
è un fenomeno mondiale: i ragazzi seminudi che, dopo una astuta coda, vi
accolgono nel negozio in penombra flagellato da musica “a palla” attirano
sempre più adolescenti.
O no?
Da mesi
rimbalza dalle più diverse fonti che il negozio di Milano, molto centrale, stia
per chiudere. Non si sa ovviamente se la notizia sia fondata o no, ma la
ragione di questo apparente flop milanese makes sense… è sensato.
Il punto è
che queste magliette saranno sì belle, ma niente di più di altre e non così da
giustificare il loro prezzo. Se non per il messaggio che veicolano.
I ragazzi
che ostentano i prodotti Abercrombie fino a poco tempo fa stavano affermando ai
loro coetanei che erano reduci da un viaggio negli States, verosimilmente sulla
Fifth Ave Newyorkese, dove si erano accaparrati la summenzionata maglietta (o
felpa o pantalone) tra un hot dog e un burger.
Se posso
comperarla anche a Milano il gioco finisce.
Ora ci
interessa poco sapere se A&F chiuda oppure no, quello che è interessante e
sul quale vale la pena riflettere è questo meccanismo di valorizzazione dei
prodotti: non per ciò che sono in sé, ma per ciò che rappresentano.
E’ quello
che in gergo si definisce materialismo emotivo del cliente: non interessa
neanche più possedere un prodotto per quello che è, ma per quello che dice a me
e agli altri.
Come si
spiegherebbero le code per i nuovi iPhone se non con questa necessità di
apparire all’ennesima potenza, di appartenere ad una cerchia élitaria?
E’ questo
che il nostro prodotto trasmette? E’ intorno a questo ancoraggio che stiamo
costruendo la nostra strategia di esportazione? E’ trasmettendo una unicità,
una forza emotiva, un orgoglio?
Chi comprerà
i nostri prodotti all’estero vivrà questo esclusività capace di renderlo fiero?
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