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sabato 17 dicembre 2011

Abercrombie: analisi di un (in)successo



Prossimo post Lunedì 19 Dicembre





Abercrombie è un fenomeno mondiale: i ragazzi seminudi che, dopo una astuta coda, vi accolgono nel negozio in penombra flagellato da musica “a palla” attirano sempre più adolescenti.

O no?

Da mesi rimbalza dalle più diverse fonti che il negozio di Milano, molto centrale, stia per chiudere. Non si sa ovviamente se la notizia sia fondata o no, ma la ragione di questo apparente flop milanese makes sense… è sensato.

Il punto è che queste magliette saranno sì belle, ma niente di più di altre e non così da giustificare il loro prezzo. Se non per il messaggio che veicolano.

I ragazzi che ostentano i prodotti Abercrombie fino a poco tempo fa stavano affermando ai loro coetanei che erano reduci da un viaggio negli States, verosimilmente sulla Fifth Ave Newyorkese, dove si erano accaparrati la summenzionata maglietta (o felpa o pantalone) tra un hot dog e un burger.

Se posso comperarla anche a Milano il gioco finisce.

Ora ci interessa poco sapere se A&F chiuda oppure no, quello che è interessante e sul quale vale la pena riflettere è questo meccanismo di valorizzazione dei prodotti: non per ciò che sono in sé, ma per ciò che rappresentano.

E’ quello che in gergo si definisce materialismo emotivo del cliente: non interessa neanche più possedere un prodotto per quello che è, ma per quello che dice a me e agli altri.

Come si spiegherebbero le code per i nuovi iPhone se non con questa necessità di apparire all’ennesima potenza, di appartenere ad una cerchia élitaria?

E’ questo che il nostro prodotto trasmette? E’ intorno a questo ancoraggio che stiamo costruendo la nostra strategia di esportazione? E’ trasmettendo una unicità, una forza emotiva, un orgoglio?

Chi comprerà i nostri prodotti all’estero vivrà questo esclusività capace di renderlo fiero? 

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