L’impresa
italiana deve capire che oggi la partita si gioca su uno scenario globale: o si
compete sul piano mondiale o si è destinati a breve vita.
Anche perché
lavorare con l’estero aiuta il flusso di cassa grazie a pagamenti più facili e
rapidi.
Questo è il
pensiero dell’ing. Gian Paolo Calafà, fondatore e titolare di Microstudio, una
piccola grande impresa del made in Italy che tiene in piedi il Paese.
Con sede a
Besnate, vicino a Varese, Microstudio è un esempio di grande qualità italiana:
produce macchine che servono a misurare le molle, una tecnologia ad alto valore
aggiunto: “le molle sono ovunque intorno a noi, per quanto possa sembrare
assurdo è uno strumento sofisticatissimo, utile in tutto: automobili, industria
petrolifera, negli orologi, nelle bombolette spray, nelle penne e così via”.
Microstudio
esporta il 75% della sua produzione, è in crescita e sta cercando di assumere
tecnici che fatica molto a trovare.
I sue
mercati principali sono quello tedesco, che rappresenta circa il 50% delle
vendite fuori confini, e quello statunitense che costituisce il maggior
destinatario del restante 50%.
Il primo
elemento per esportare, dice l’ing. Calafà, è avere un prodotto… da esportare.
Un prodotto valido a livello internazionale, in grado di competere con i
concorrenti.
Questa è la
condizione necessaria, ma non sufficiente, per vincere la battaglia
internazionale.
Questi gli
altri consigli che l’ing. Calafà propone partendo dalla sua esperienza:
1) trovare
l’equilibrio tra buttarsi e saper dare le priorità allo sviluppo dell’azienda:
ci vuole pazienza per avere successo all’estero, dato che la crescita comporta
costi, tempo, errori dai quali apprendere. Roma non è stata costruita in un
giorno dicono gli americani. E’ vero.
2) Attenzione
alla scelta dei partner all’estero: Microstudio ha avuto cattive esperienze sia
in Germania sia negli USA: l’importante è trovare persone che abbiano stile
allineato con quello aziendale.
3) E’
fondamentale saper seguire i clienti dall’Italia. Non si può delegare
all’estero, ai partner, quello che non sappiamo fare noi. Bisogna saper fare il
lavoro che poi intendiamo trasmettere e affidare ad altri.
4) Devi
conoscere il mercato per poter poi sostenere i partner ai quali ti sei
affidato: è poco proficuo partire senza avere prima svolto studi, direttamente
o attraverso consulenti, che permettano di capire il contesto nel quale andrai
ad agire.
5) Le
differenze culturali sono immense: senza capire che cosa significhino e in che
modo influenzano le scelte è molto rischioso gettarsi un una attività di
export.
Ho chiesto
espressamente all’ing. Calafà di elencarmi gli errori, ciò che vanno assolutamente evitato,
per poter mettere la sua esperienza –ricordo che si sul dire che l’esperienza è
il nome con il quale siamo soliti chiamare i nostri errori e le sconfitte- a
servizio dei lettori del blog.
Ecco quelli
che mi ha indicato come principali:
1) attenzione
ai luoghi comuni: ad esempio “tutti in Cina”, oppure “quel paese è il futuro”.
E’ il tuo mercato? Che cosa vai a proporre? Come? Che vantaggio offri?
2) Credere
di conoscere il mondo perché siamo turisti frequenti: vacanze e lavoro sono due
cose molto diverse
3) Certamente
il flusso di cassa ha da guadagnare nell’export, però attenzione che i furbetti
esistono ovunque.
4) Tentare
di fare il colpaccio: l’export impone continuità, pazienza e costanza. E così
arrivano i risultati.
5) Credere
che si possa costruire un successo senza creare relazioni umane solide: è
necessario investire sui rapporti con le persone, tra l’altro così si evitano i
furbetti.
Per chiudere
chiedo ancora una volta una conferma sui pagamenti: ci sono difficoltà?
No, mi rassicura
l’ing. Calafà, bisogna fissare bene le condizioni di pagamento e scegliere, con
esperienza (magari, aggiungo io, con l’aiuto di uno specifico consulente),
quelle più sicure. E conclude “chiedere pagamenti in anticipo è una soluzione
valida e accettata senza problemi”.
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