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lunedì 16 gennaio 2012

Microstudio: la strada elastica per l'export







L’impresa italiana deve capire che oggi la partita si gioca su uno scenario globale: o si compete sul piano mondiale o si è destinati a breve vita.

Anche perché lavorare con l’estero aiuta il flusso di cassa grazie a pagamenti più facili e rapidi.
Questo è il pensiero dell’ing. Gian Paolo Calafà, fondatore e titolare di Microstudio, una piccola grande impresa del made in Italy che tiene in piedi il Paese.

Con sede a Besnate, vicino a Varese, Microstudio è un esempio di grande qualità italiana: produce macchine che servono a misurare le molle, una tecnologia ad alto valore aggiunto: “le molle sono ovunque intorno a noi, per quanto possa sembrare assurdo è uno strumento sofisticatissimo, utile in tutto: automobili, industria petrolifera, negli orologi, nelle bombolette spray, nelle penne e così via”.

Microstudio esporta il 75% della sua produzione, è in crescita e sta cercando di assumere tecnici che fatica molto a trovare.

I sue mercati principali sono quello tedesco, che rappresenta circa il 50% delle vendite fuori confini, e quello statunitense che costituisce il maggior destinatario del restante 50%.

Il primo elemento per esportare, dice l’ing. Calafà, è avere un prodotto… da esportare. Un prodotto valido a livello internazionale, in grado di competere con i concorrenti.

Questa è la condizione necessaria, ma non sufficiente, per vincere la battaglia internazionale.

Questi gli altri consigli che l’ing. Calafà propone partendo dalla sua esperienza:

1)  trovare l’equilibrio tra buttarsi e saper dare le priorità allo sviluppo dell’azienda: ci vuole pazienza per avere successo all’estero, dato che la crescita comporta costi, tempo, errori dai quali apprendere. Roma non è stata costruita in un giorno dicono gli americani. E’ vero.
2)  Attenzione alla scelta dei partner all’estero: Microstudio ha avuto cattive esperienze sia in Germania sia negli USA: l’importante è trovare persone che abbiano stile allineato con quello aziendale.
3)  E’ fondamentale saper seguire i clienti dall’Italia. Non si può delegare all’estero, ai partner, quello che non sappiamo fare noi. Bisogna saper fare il lavoro che poi intendiamo trasmettere e affidare ad altri.
4)  Devi conoscere il mercato per poter poi sostenere i partner ai quali ti sei affidato: è poco proficuo partire senza avere prima svolto studi, direttamente o attraverso consulenti, che permettano di capire il contesto nel quale andrai ad agire.
5)  Le differenze culturali sono immense: senza capire che cosa significhino e in che modo influenzano le scelte è molto rischioso gettarsi un una attività di export.


Ho chiesto espressamente all’ing. Calafà di elencarmi gli errori, ciò che vanno assolutamente evitato, per poter mettere la sua esperienza –ricordo che si sul dire che l’esperienza è il nome con il quale siamo soliti chiamare i nostri errori e le sconfitte- a servizio dei lettori del blog.

Ecco quelli che mi ha indicato come principali:

1)  attenzione ai luoghi comuni: ad esempio “tutti in Cina”, oppure “quel paese è il futuro”. E’ il tuo mercato? Che cosa vai a proporre? Come? Che vantaggio offri?
2)  Credere di conoscere il mondo perché siamo turisti frequenti: vacanze e lavoro sono due cose molto diverse
3)  Certamente il flusso di cassa ha da guadagnare nell’export, però attenzione che i furbetti esistono ovunque.
4)  Tentare di fare il colpaccio: l’export impone continuità, pazienza e costanza. E così arrivano i risultati.
5)  Credere che si possa costruire un successo senza creare relazioni umane solide: è necessario investire sui rapporti con le persone, tra l’altro così si evitano i furbetti.

Per chiudere chiedo ancora una volta una conferma sui pagamenti: ci sono difficoltà?

No, mi rassicura l’ing. Calafà, bisogna fissare bene le condizioni di pagamento e scegliere, con esperienza (magari, aggiungo io, con l’aiuto di uno specifico consulente), quelle più sicure. E conclude “chiedere pagamenti in anticipo è una soluzione valida e accettata senza problemi”.

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