Tuttofood. In apparenza una fiera italiana lanciata come
contorno a Expo. In realtà un ponte verso il mondo.
Che cosa si nota passeggiando per gli stand? Che la strada
per il successo all’estero passa attraverso l’eccellenza e la differenziazione.
Italiano non può voler dire low cost. Per quello ci sono
altri paesi, non il nostro dove l’eccellenza è quotidianità.
E dove i costi, diciamolo, sono superiori.
O ti specializzi, o scompari.
E specializzarsi vuol dire cercare il valore aggiunto di ciò
che offri: dando per scontato che l’alta qualità sia intrinseca al prodotto, è
nella modalità di presentazione e di posizionamento che sta la differenza.
Così si punta finalmente ad un linguaggio internazionale fin
dalla proposta dei claims, e si punta a stupire mostrando come la creatività
gastronomica italiana sia inseribile in ogni cultura del mondo.
Altro elemento che mi è parso di notare è lo sforzo tradurre
in personalizzazione quelle specifiche che sono nate più per ragioni “mediche”.
Il basso contenuto di sale, i prodotti senza glutine, quelli
senza lattosio, probabilmente nati per dare risposte a chi soffre di allergie o
patologie, e percepiti come poveri in gusto e sapore, sono ora riproposti come
scelta salutista e presentati come una alternativa ancora più stuzzicante
perché buona oltre che salutare.
E infine il cibo si sposa con la cucina: se vuoi avere
successo, fatti qualificare da qualche grande chef. Le esibizioni di show coking
si sono moltiplicati. Il cibo non è più solo nutrimento, ma anche cultura,
passione, spettacolo.
Siamo pronti a raccontarlo così?
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