Eva Moncada, laurea triennale in Scienze
Politiche e laurea specialistica in Relazioni Internazionali presso la Luiss
Guido Carli di Roma, da tre anni è consulente free lance in India. Ha
raccontato la propria esperienza nel libro di Stefano Martello e Sergio Zicari Fare Business in India – una guida per la
Piccola e Media Impresa (FrancoAngeli, Milano, 2013).
Quali sono i prodotti/beni italiani più
richiesti in India?
I prodotti italiani più richiesti in
India sono macchinari (in generale), prodotti chimici e fitosanitari, prodotti
elettronici, farmaceutici, mezzi di trasporto.
Per quanto riguarda l’agroalimentare, l’India
è il secondo produttore al mondo di grano, canna da zucchero, frutta e
vegetali. Primo al mondo per la produzione di latte e di tè. Primo al mondo per
popolazione bovina/bufalina, con circa 300 milioni di animali.
Quindi l’Italia non può competere con questo
Paese sulle grandi commodities. Il
nostro Paese deve puntare sulla crescente richiesta di prodotti di qualità per
una fascia di nicchia del mercato indiano quali formaggi, vino, pasta, olio
d’oliva. Bisogna tenere conto, infatti, che i consumi tendono sempre più a globalizzarsi
e cresce sempre più il numero di persone che viaggiano spesso, diversificano le
proprie abitudini alimentari, mangiano sempre più spesso fuori, conoscono e
cominciano a chiedere i nostri prodotti.
Perché questi sono particolarmente
interessanti?
Perché in un Paese in continua crescita
ed espansione, macchinari, prodotti chimici, elettronici e mezzi di trasporto
si rivelano quanto mai indispensabili e, soprattutto, perchè la produzione
nazionale non riesce a soddisfare il fabbisogno.
Per quanto riguarda i prodotti alimentari in
generale, specialmente quelli che, in termini di qualità e prezzo, raggiungono
solo una fascia di nicchia del mercato indiano, gli stessi sono sempre più
richiesti alla luce dei cambiamenti delle abitudini alimentari della classe medio
alta che - per quanto limitata in percentuale, ma considerando la scala di
grandezza di tale Paese - sta crescendo in maniera esponenziale.
Come giudica il mercato Indiano il made
in Italy?
Il made in Italy è da sempre stato
percepito come rappresentazione di alta qualità.
Ma l’apertura ai mercati di tutto il mondo,
la globalizzazione hanno un po’ cambiato questa percezione.
Da quando sono arrivata in India l’idea della
qualità italiana è cambiata sensibilmente. A differenza di qualche anno fa oggi
il businessman indiano non si fida più dell’Italia a occhi chiusi. Vuole vedere la
qualità, toccarla con mano. Le master
class che ho organizzato con i cuochi italiani, ma anche gli eventi
promozionali per il vino italiano, hanno reso evidente che noi italiani non
siamo più “out of question”; è diventato indispensabile anche per noi affrontare
la competizione con la sostanza e non con l’evocazione. Occorrono umiltà e
scelte di marketing molto mirate, ma non tutte le aziende italiane lo hanno
capito.
Che cosa ci si aspetta in termini di
qualità?
Il mercato indiano si aspetta, prima di
ogni altra cosa, autenticità dei prodotti. E’ questa caratteristica che
determina la qualità. Diventa essenziale, pertanto, conoscere l’azienda, il
processo di ottenimento del prodotto e le caratteristiche peculiari dello
stesso.
Quanto conta la reputazione per poter
avere successo?
La reputazione è molto importante per
avere successo. Se il prodotto italiano che si vuole commercializzare in India
ha un marchio molto conosciuto e già presente in altri mercati internazionali,
questo rappresenta un buon punto d’inizio inizio per assicurarsi l’ingresso in
India.
Ma come ho detto precedentemente, la
reputazione da sola non basta.
Visto con gli stereotipi occidentali, il
continente indiano è soprattutto povertà: che cosa è in realtà l'India?
L’India è un Paese con più di 1 miliardo
e 200 milioni di persone, dove il progresso sta facendo passi da gigante. La
povertà è presente ed è visibile ma non bisogna soffermarsi su questo aspetto
per giudicare un Paese. La massa dei non abbienti, in India, è impressionante,
ma questo è anche un Paese dove chiunque con 60 rupie (meno di 80 centesimi di
Euro) può procurarsi un pasto. In altri Paesi del mondo la povertà è una
condanna che pesa molto di più; questo si deve – e qui lancio una provocazione
– anche al sistema delle caste (formalmente abolite ma tuttora esistente) che,
in un certo qual modo, rende più accettabili gli squilibri indotti dalla
diseguaglianza sociale.
L’India è la più grande
democrazia del mondo con una classe media composta da qualche decina di milioni
di persone (in continua crescita), con una nutrita schiera di laureati.
E’ un Paese all’avanguardia
in molti settori produttivi, come quello dell’High tech e il costo della
manodopera specialistica rimane (ancora) molto competitivo.
Senza contare la grande
attenzione alla dimensione imprenditoriale, sia che si tratti di grandi imprese
sia che si tratti di piccole medie imprese.
Come fare a lanciare un nuovo prodotto,
quali sono gli step da seguire?
Se un’azienda decide di lanciare il
proprio prodotto in India, deve tener conto del fatto che occorre pianificare
una strategia di marketing molto dettagliata.
E’ importante capire dove posizionare il
prodotto e qual è l’obiettivo di breve periodo e quello di lungo periodo.
Bisogna capire che è essenziale far conoscere
il prodotto su larga scala, con la partecipazione a fiere o eventi di settore
che ricoprono un ruolo fondamentale nelle dinamiche di promozione.
A seconda della tipologia prodotto che si
vuole commercializzare in India, un’altra idea che riscuote successo è quella
di organizzare eventi di promozione del proprio prodotto stabilendo a priori il
target degli eventi stessi.
Una volta in possesso di alcuni feedback da
parte del consumatore indiano, diventa più semplice stabilire le linee guida
per l’ingresso del prodotto in India: la ricerca di un distributore a livello
nazionale, la ricerca di un partner per aprire una succursale in India, la
vendita di nicchia (ristoranti, catene alberghiere in casi di prodotti
agroalimentari di alta qualità).
Quello che spaventa/preoccupa maggiormente
l’imprenditore italiano è il fatto che i tempi indiani siano, a volte, troppo
lunghi se paragonati ad altri Paesi.
Probabilmente è vero ma in India bisogna
abituarsi ed adeguarsi al fatto che con l’impazienza non si conclude molto.
La mia idea di svolgere una funzione
consulenziale di raccordo tra l’azienda italiana ed il mercato indiano nasce
proprio dalla constatazione che in tutti questi step l’imprenditore italiano
non può sempre essere presente in India e, d’altra parte, è importante il
confronto con il businessman indiano. Ha, quindi, bisogno di qualcuno che possa
rappresentarlo e mantenere vivo l’interesse della controparte.
Investimento minimo per iniziare a
vendere in India: può darci una idea?
Non riuscirei a dare indicazioni in
merito. Dipende sicuramente da molti fattori. Quello che mi sento di dire è che
oltre al prodotto, l’azienda deve possedere un’adeguata capacità di
investimento in infrastrutture ed in logistica ed adeguati mezzi finanziari.
Che errori non commettere?
Sottovalutare le potenzialità di questo
Paese, subendo l’influsso dei più tipici stereotipi. Sottovalutare l’importanza
di un’adeguata – e non improvvisata - strategia di marketing e degli input
locali. Fin dalla fase di pianificazione dell’intervento (che deve essere
curata in maniera oserei dire maniacale, per evitare l’insorgenza di criticità
che potrebbero ostacolare il proseguimento del processo), è necessario valutare
l’investimento che si vuole intraprendere alla luce della prospettiva Indiana,
leggendo e comprendendo i segnali che provengono da questo mercato.
Per esempio, un errore molto comune è quello
di pensare che la partecipazione ad un evento fieristico, con il conseguente
scambio di biglietti da visita, possa portare a qualcosa di concreto
nell’immediato. Senza pensare che per il businessman indiano, il “faccia a
faccia” rappresenta solo il primo passo di una conoscenza che verrà
approfondita nel corso del tempo e che, solo se soddisfacente, porterà ad una
valutazione rispetto alla migliore strategia di ingresso nel mercato. In poche
parole, la creazione ed il consolidamento di una relazione fondata sulla
fiducia reciproca che sicuramente esige un maggiore tempo ma che, altrettanto
sicuramente, sarà più salda e meno soggetta alle tante variabili che permeano
una relazione d'affari.