Un blog per vendere all'estero

Vendere all'estero è una grande opportunità per le aziende italiane, tutte, specie quelle artigianali, piccole e medie.
In questo blog lavoreremo insieme per trovare la strada migliore e avere successo con facilità.

Tra vent’anni sarai più deluso delle cose che non hai fatto che di quelle che hai fatto. E allora molla gli ormeggi. Lascia i porti sicuri. Lascia che gli alisei riempiano le tue vele. Esplora. Sogna

Mark Twain.


mercoledì 5 settembre 2012

I limiti delle PMI in Italia: come superarli





Battere gli errori degli imprenditori: il punto di vista di Luca Pagni



Luca Pagni giornalista di Repubblica, autore del blog Piccole Grandi Imprese è il primo degli autori che ci guidano dentro il mondo degli errori che un imprenditore non deve commettere per avere successo.
Premesso che sono più un "raccontatore" di storie di imprenditori che un analista di dati, un “cantastorie” piuttosto che un consulente societario, ammetto che non mi riesce difficile individuare limiti, difetti e lacune delle Pmi italiane.
Il limite delle dimensioni. "Piccolo non è bello, piccolo è solo piccolo". Per anni, l’ex amministratore delegato di Unicredit e ora presidente di Mps ha girato l’Italia dei convegni spiegando come la favola tutta italiana della piccola e media impresa che conquista i mercati fosse ormai al capolinea. In un mondo che si è allargato, le dimensioni contano eccome. Così come conta essere presenti su più mercati contemporaneamente. E che il piccolo finirà, inevitabilmente, per essere mangiato dal grande. O è destinato a soccombere. Per dirla in altri termini: oggi o una impresa ha come riferimento almeno il mercato europeo (come hanno saputo fare bene i tedeschi) oppure non è.
Il limite delle alleanze. Ma per crescere bisogna fare acquisizioni, meglio ancora, fare massa mettendo insieme coloro che fino al giorno prima si facevano la guerra per le quote del mercato interno. Ma non c’è nulla da fare: l’imprenditore medio italiano ha l’idiosincrasia alle aggregazioni tra pari. Piuttosto vende e si ritira, se non peggio. Mi è capitato di scrivere del distretto comasco della seta, messo in crisi dai prodotti cinesi. Le imprese sono rimaste a carattere familiare, quasi nessuna si è affidata a manager, non c’è stato verso di fondere le società migliori.
Il limite degli investimenti. Per crescere bisogna investire. Ma in questo campo, è noto, siano in fondo alle classiche europee. Tanto per dire: con l’ultimo scudo fiscale del "fiscalista" Tremonti solo il 5 per cento dei fondi riportato in patria sono stati investiti nelle imprese. Ma l’investimento è anche in risorse umane. Per cui si resta sempre molto perplessi quando imprenditori anche di successo non si rendono conto che l’azienda affidata a dirigenti esterni è salutare se i figli o le seconde generazioni non sono all’altezza.
Il limite della squadra. Anche qui nulla di nuovo. Le Pmi italiane preferiscono muoversi come lupi solitari. Non si fidano delle strutture pubbliche. E solo di recente hanno capito l’importanza di istituzioni come la Sace. Così finisce che nelle missioni ufficiali del governo si formano contratti solo per i grandi gruppi, magari quelli controllati da Tesoro.
Il Limite della finanza. Questo lo posso raccontare bene, perché mi è stato raccontato da un banchiere che si sta occupando proprio di "irrobustire" le Pmi. Gli imprenditori si scordino delle banche come partner finanziari per la crescita nei prossimi anni. Anche per il dopo recessione. Le nuove regole restringono il campo d’azione delle banche, così come i coefficienti di patrimonializzazione,. E le "storture" di Basilea III faranno il resto. I nuovi partner non potranno che essere private equity, venture capital per chi muove i primi passi, fondi pensione e fondi sovrani. I denari bisognerà chiederli a chi ce li ha.
Il limite del record. Mi si dirà: ma le imprese del nord-est, dei distretti, delle eccellenze hanno ripreso ad esportare, si muovo come se non meglio dei concorrenti tedeschi. Vero per le eccellenze. Ma le altre?

2 commenti:

  1. ..."Le imprese sono rimaste a carattere familiare, quasi nessuna si è affidata a manager, non c’è stato verso di fondere le società migliori"... e inoltre io abitecco fatto,o in provincia di Como (realtà della quale si è scritto). Io stessa quindi sono immersa in questa realtà alla quale mi sono ormai inesorabilmente "arresa"... Condivido tutto ciò che è stato scritto... ma come fare a inculcare nella testa di queste aziende di stampo familiare la voglia di cambiamento? Come fare anche solo percepire quanto stiano perdendo? Aspettiamo che vadano alla deriva, sole come lupi solitari? Credetemi è veramente un grande, grandissimo peccato vivere un'azienda con molte possibilità e a causa della mala gestione sapere che non ha molto futuro... Grazie per il post e chiedo venia per questo mio commento/sfogo, ma come avrete capito è un argomento che mi prende molto...

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  2. ti capisco perfettamente, temo che l'unica strada sia conquistarsi lentamente la fiducia e condurre con pazienza ad una consapevolezza dell'errore... chiedo anche all'autore se riesce a commentare.

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