Grazie a Domenico Fasano e Outsider news
dove è apparso questo articolo che qui
ripubblichiamo per intero.
“Abbiamo cercato reti commerciali anche all’estero, ma senza
fortuna. Abbiamo investito in pubblicità, ma non abbiamo ottenuto nulla.
Abbiamo cercato negozi e grande distribuzione, ma tutti ci dicono che
al massimo sono pronti ad accogliere la nostra merce in conto vendita”.
Affermazioni che mi capita di sentire spesso e che sono riconducibili tutte ad un’unica causa: il troppo amore per la propria creazione. O per meglio dire: la presunzione che il proprio prodotto faccia sempre mercato.
Non è più così. Non è così se non hai un brand affermato, se non
basta il tuo logo, che sia una mela o uno sbaffo, a generare aspettativa
e desiderio.
Riprendiamo, quindi, quanto presentato nel post precedente come possibile strada per accelerare la propria presenza all’estero. Attraverso il web, ad esempio.
Perché il tuo prodotto sarà anche bello, ma al negozio serve che svuoti lo scaffale,
all’agente serve che gli permetta di arrivare a fine mese. E se il
cliente finale non sa neanche che esisti, perché dovrebbe comprare te
invece del tuo concorrente che ha un nome più noto? Quale valore offri
loro perché scelgano te invece che un prodotto analogo? E per loro
intendo tutti coloro che da te in giù sono elementi chiavi della supply
chain, della catena che conduce al cliente finale, quello che
acquistando il tuo prodotto e portandoselo a casa, rende finalmente
onore alla tua produzione.
Cerca di costruirti un posizionamento, la rete oggi è la strada più rapida ed estesa. E richiede investimenti ridotti.
Mi dicono: preferiremmo costruire una rete di punti
vendita nel mondo che trattino i nostri prodotti prima di passare
alla’e-commerce e aumentare la presenza nel web.
Rispondo: mi sembra un errore strategico per queste ragioni:
1) Chi sono i tuoi clienti? Hai una descrizione dettagliata di ognuno
dei clienti a valle della tua produzione –perché tutti loro sono
clienti- e del valore che stanno cercando da te?
2) Come fai, ad esempio, ad essere appetibile per i negozi nel mondo se
nessuno sa chi sei? Per quale ragione dovrebbero acquistare e promuovere
i tuoi prodotti?
3) Quanto ti costa la distribuzione e quanto ti porta via di margine? Di
conseguenza quante volte in volume devi vendere nei negozi per
raggiungere il medesimo livello di margine di un e-commerce?
4) Vendere nei negozi significa produrre prima, vendere in e-commerce
significa produrre sull’ordinato. O quasi. Ma ci siamo intesi. Quanto
guadagni in termini di oneri finanziari e magazzino?
5) Quanto devi spendere per farti conoscere nel mondo reale e quanto
(poco) puoi investire per aumentare la tua reputazione on-line?
6) Che cosa conta di più all’inizio: affermare il proprio brand e
diventare noti o cercare di vendere come sconosciuti in negozi di
provincia?
7) Il fatto di avere un marchio noto e di vendere on-line quanto aumenta
il tuo potere negoziale nel momento in cui cercherai dei luoghi dove
essere fisicamente presente?
Nel prossimo articolo analizzeremo le possibili strategie per fare dell’export un asset strategico della propria attività.
Un blog per vendere all'estero
Vendere all'estero è una grande opportunità per le aziende italiane, tutte, specie quelle artigianali, piccole e medie.
In questo blog lavoreremo insieme per trovare la strada migliore e avere successo con facilità.
“Tra vent’anni sarai più deluso delle cose che non hai fatto che di quelle che hai fatto. E allora molla gli ormeggi. Lascia i porti sicuri. Lascia che gli alisei riempiano le tue vele. Esplora. Sogna”
Mark Twain.
lunedì 25 marzo 2013
domenica 17 marzo 2013
Export, internazionalizzazione o tasse?
Export è diverso da internazionalizzazione: spesso la seconda scelta comporta perdita di posti di lavoro e sofferenze connesse. Per questo la mia scelta è quella di aiutare le aziende italiane a produrre da noi e vendere all'estero. Comprendo che alcune aziende fanno scelte diverse anche per sopravvivere e non per avidità o ingordigia, come potrebbe capitare con più probabilità alle grandi multinazionali.
Per questo ho accettato la proposta di Enrico Furia di parlare del tema internazionalizzazione, per permettere una libera discussione sul tema, senza pregiudizi e con obiettività.
Ecco cosa scrive Furia, a voi la parola per le repliche.
Internazionalizzare l’impresa non vuol dire solo vendere
in esportazione: se un cliente è italiano o estero, per l’azienda non cambia
niente, tranne l’applicazione dell’IVA.
Internazionalizzare l’azienda vuol dire liberarla dalla
dipendenza da un singolo ordinamento giuridico e renderla padrona di stabilirsi
nel sistema più efficiente e vantaggioso.
Oggi ad es., costituire un’azienda “offshore” nello Stato
di New York è facilissimo, rapidissimo e costa solo qualche centinaio di
dollari. L’azienda non paga tasse
sui profitti perché queste sono pagate dai soci che ricevono utili, i quali le
pagano nel loro paese di residenza.
Tutto questo è una truffa ai danni dello Stato? Se sì, allora
perché il Governo italiano non accusa il Governo dello Stato di New York di
truffa? Perché costui manderebbe al diavolo il Governo italiano, rispondendo
che esso applica una sua norma sovrana nel rispetto del GATT, dei TRIPs e di
tutti i trattati internazionali sul commercio.
Ora, insediare un’azienda, o risiedere, ad es., in uno
degli Stati balcanici (la costa orientale dell’Adriatico la cui distanza
massima è come quella tra Milano e Bologna), foss’anche in Irlanda, Olanda
(ipotesi di Bulgari) comporta i seguenti vantaggi.
Le tasse sul
reddito sono al 10%; per investimenti superiori a 3 milioni di Euro c’è esenzione
quinquennale.
Oneri sociali: 16%
La libertà di
circolazione di merci e capitali è assoluta perché tutti gli Stati aderiscono
all’OMC.
Accesso ai
finanziamenti disponibili come fondi europei, quelli per l’accesso all’Unione, fondi nazionali d’incentivo, quelli
delle banche commerciali e d’investimento locale, più gli interventi dei Fondi
Sovrani, che in Italia non vengono più da qualche tempo, se mai sono venuti.
Disponibilità di manodopera piena e
qualificata
Possibilità di
vendere in Italia massima, come da affermazione sub c).
Per chi è
raccomandata l’internazionalizzazione?
In sostanza per tutti:
Studi
professionali
Ditte individuali
Società personali
Società mutue o cooperative
PMI agroindustriali,
artigianali, commerciali, di servizi.
Grandi imprese.
Quanti hanno
bisogno di aria nuova per il proprio lavoro.
Alle aziende, che abbiano particolari motivi legati al
territorio o all’impossibilità di rilocare la loro attività produttiva, si può
consigliare di creare una sede operativa (nuova ragione giuridica, oppure
costituzione di ramo d’impresa a contabilità separata), che diventa “centro di
profitto” e lasciare in Italia la pura produzione, che diventa “centro di costo”.
L’azienda italiana produce per il suo centro di profitto, che avrà il solo
scopo di fatturare e maturare profitti in un sistema molto più conveniente per
l’impresa.
Si può costituire, ad es., una nuova ragione giuridica o
un ramo d’impresa in Croazia, Albania, Montenegro, continuando a vendere ai
propri clienti italiani, oppure esteri, gli stessi prodotti di sempre. Si paga
solo il 10% di tasse sul reddito e nessuna IVA, perché il bene è considerato d’esportazione
dove non insiste l’IVA comunitaria. Quindi, se un produttore aggiunge un semplice
guadagno del 10% sui suoi costi, ha un utile netto dell'8%.
E' cosi difficile da capire questo concetto su cui ogni
impresa (manifatturiera o professionale) dovrebbe orientarsi? L'operatore può
aprire anche solo un ufficio commerciale, con sede giuridica presso una società
di servizi, che gli mette a disposizione commercialista, avvocato e quant'altro
serva, in modo tale che la sua azienda italiana funga da "centro di
costo" e quella estera come "centro di profitto". Il centro di
profitto può essere gestito a distanza, così come i suoi conti bancari. In
questo modo il prezzo finale del prodotto può essere ridotto fino al 50%. Il
centro di costo spedisce al cliente e fattura al centro di profitto. Il centro
di profitto fattura al cliente. Tutto questo è perfettamente "secundum
legem". L'Agenzia delle Entrate può dire e fare tutto quello che
vuole. Se lo fa, è lei "contra legem" dal momento che queste sono
disposizioni lecite, perché previste (secundum legem), o lecite perché non
ritenute illecite (praeter legem).
Orbene, mentre nei principali ordinamenti giuridici tutto
ciò che non è proibito, è lecito, in quello italiano si pretende che quanto non
è espressamente autorizzato, sia proibito.
Questa è un’aberrazione giuridica tipica italiana in
contrasto con la normativa dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e
dell’Unione Europea, due organismi cui l’Italia aderisce a pieno titolo.
Pertanto, per ogni azienda internazionalizzarsi è un “dovere” di sana e corretta
amministrazione e non un tentativo di evasione fiscale. Scopo dell’azienda è
essere efficiente, non pagare tasse ad un sistema inefficiente.
Non conosco minimamente i dettagli dell’operazione
“Bulgari”, se davvero l’azienda sia stata pignorata perché ha operato per
internazionalizzarsi, quindi non mi pronuncio, ma mi chiedo: se un’azienda non
guadagna quanto lo Stato impone di guadagnare, viene accusata di elusione
fiscale? Queste sono cose da pazzi o da ladri?
15 marzo 2013
Enrico Furia
http://www.aneddoticamagazine.com
mercoledì 6 marzo 2013
Il mercato del Baltico
Enrico
Furia accademico e curatore
del portale Aneddotica Magazine
aiuta la aziende italiane a esportare nei mercati dell’est Europeo con particolare
riferimento ai paesi del Baltico. Gli ho rivolto alcune domande sulla sua
attività, sull’export e sulle possibilità per le nostre PMI di allargare la
loro penetrazione fuori dai confini nazionali.
Quale tipo di sostegno offre alle aziende per aiutarle
ad esportare?
Innanzitutto l’azienda, grande o
piccolissima deve imparare ad internazionalizzarsi, che non è solo vendere
fuori del proprio Stato, ma collocarsi fuori dal proprio Stato, e mettere in
competizione tra loro tutte le opportunità che una vera internazionalizzazione
concede. Questa è la vera rivoluzione silenziosa che l’imprenditoria deve
compiere, la vera cultura imprenditoriale che vogliamo diffondere.
Direttamente, o tramite aziende
collegate, possiamo offrire al cliente ogni tipo di aiuto, dal marketing inteso
come analisi del mix di domanda e come capacità dell’azienda di dare risposte,
all’innovazione di prodotto intesa sia come nuova tecnologia o nuovo uso del
prodotto stesso.
Aiutiamo le imprese nello
start-up, nel consolidamento o ristrutturazione, nella crescita del profitto,
come indice di valore dell’utilità dei loro prodotti con strumenti finanziari
Della U.E., locali, e di venture o financial capital.
Offriamo aiuto nel migliorare la
produzione, la qualità, le relazioni umane aziendali e con l’esterno, e
l’efficienza di tutte quelle azioni che servono per adeguarsi ai nuovi mercati.
Offriamo assistenza contabile e fiscale tramite professionisti locali.
Offriamo al cliente contatti con
nuovi clienti sia per la vendita con scambio di moneta sia in barter.
Qual è il profilo della azienda PMI italiana che oggi
dovrebbe pensare seriamente all'export?
Tutte le aziende devono poter
esportare, ma soprattutto internazionalizzarsi nel senso prima espresso. Il
barista ad esempio e tutte le attività stagionali in generale possono
esercitare il loro mestiere all’estero e fermarsi o continuare in patria a
stagione finita. La PMI si stabilisce, così, in un regime più favorevole e da li continua a lavorare in
piena libertà anche in Italia. La grande impresa diventa multinazionale quando
stabilisce uno o più regime favorevole quale sede dei propri affari.
Nella sua esperienza quali sono i più frequenti errori
delle PMI che vogliono esportare?
La qualità italiana è
riconosciuta ed imitata in tutto il mondo. Il “made in Italy” comunque, non
deve indicare solo che un prodotto è fatto in Italia, ma che è fatto con la
“qualità italiana”, anche se fatto in un altro qualsiasi luogo geografico fuori
dell’Italia. Troppe PMI (costruzioni, artigianato, commercio, servizi)
rimangono dell’idea “apro bottega ed appendo il cappello, aspettando il
cliente”. Questa mentalità non ripaga più. Non si può esportare con la
mentalità del muratore, del fabbro, del bottegaio, dell’avvocato o del notaio.
Quali di questi NON vanno commessi assolutamente?
Aprire bottega, appendere il
cappello ed aspettare il cliente.
Che cosa dovrebbe invece fare una azienda che vuole
esportare? ci può dare i 5 punti chiave?
Usare il marketing come filosofia
d’impresa, sia nella sua forma di marketing mix per le aziende di manifattura,
sia nella forma di marketing max per le aziende di know-how.
Il corridoio del Baltico: perché è interessante? ha
qualche dato che aiuta a capire il valore di questo mercato?
Le merci, che entrano nel
Mediterraneo da Suez, impiegano cinque giorni in meno ad arrivare al Baltico
passando dal corridoio adriatico. In Italia invece si continua con la TAV
Lione-Torino solo per distribuire mazzette e non per un vero e proprio valore
economico. Il corridoio adriatico per il Baltico coinvolge sette paesi sovrani
in via di sviluppo, ben dieci se includiamo anche Italia, Grecia e Turchia, e
ben quindici se includiamo anche Austria,l Ungheria, Rep. Ceca, Slovacchia e
Germania. Si tratta di un’area di ben 250 milioni di persone.
Quali prodotti hanno maggior mercato in quelle aree?
I prodotti di qualità. Ferrero
vende in tutto il mondo non per il prezzo, ma per la sua qualità. Lasciate il
prezzo ai Cinesi che, primo o poi pagheranno amaramente la loro politica
economica e commerciale.
Che cosa viene apprezzato dell'italianità?
La qualità, lo stile, la
fantasia, l’estro.
Come parlare a questi mercati?
Questi mercati conoscono già
tutto dell’Italia. In Albania parlano tutti italiano perché vedono solo la TV
italiana. In Croazia la mortadella è più buona che a Bologna. In Montenegro i
bimbi aprono tutti con stupore e voglia l’ovetto Kinder. Non c’è bisogno di
parlare, ma di approfittare della loro voglia di collaborare con le imprese
italiane. In questi paesi la criminalità è quasi inesistente perché i loro
delinquenti sono già tutti in Italia da tempo.
Il suo
portale è molto interessante e ampio: quali sono i temi che tratta con
maggiore frequenza?
Trattiamo soprattutto della
“razionalità del comportamento umano nella produzione e nel consumo”, argomenti
che la “sedicente scienza economica” confina solo nell’insulso “profitto
monetario” creando perfino contraddizioni logiche.
Come siamo visti all'estero secondo lei?
Benissimo e con amore quando ci
comportiamo da persone serie, con disprezzo quando ci comportiamo da idioti.
Quali altri mercati segue? quali altri aree
geografiche andrebbero oggi privilegiate?
Tutte quelle aree
dove esiste ancora l’impegno sociale, l’etica aziendale, l’amore per il
prossimo: vale a dire tutti quei valori che hanno fatto grande l’imprenditoria
italiana oggi mortificata da profittatori finanziari, politici nullafacenti e
nullavolentifare.Il mercato del baltico
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