Export è diverso da internazionalizzazione: spesso la seconda scelta comporta perdita di posti di lavoro e sofferenze connesse. Per questo la mia scelta è quella di aiutare le aziende italiane a produrre da noi e vendere all'estero. Comprendo che alcune aziende fanno scelte diverse anche per sopravvivere e non per avidità o ingordigia, come potrebbe capitare con più probabilità alle grandi multinazionali.
Per questo ho accettato la proposta di Enrico Furia di parlare del tema internazionalizzazione, per permettere una libera discussione sul tema, senza pregiudizi e con obiettività.
Ecco cosa scrive Furia, a voi la parola per le repliche.
Internazionalizzare l’impresa non vuol dire solo vendere
in esportazione: se un cliente è italiano o estero, per l’azienda non cambia
niente, tranne l’applicazione dell’IVA.
Internazionalizzare l’azienda vuol dire liberarla dalla
dipendenza da un singolo ordinamento giuridico e renderla padrona di stabilirsi
nel sistema più efficiente e vantaggioso.
Oggi ad es., costituire un’azienda “offshore” nello Stato
di New York è facilissimo, rapidissimo e costa solo qualche centinaio di
dollari. L’azienda non paga tasse
sui profitti perché queste sono pagate dai soci che ricevono utili, i quali le
pagano nel loro paese di residenza.
Tutto questo è una truffa ai danni dello Stato? Se sì, allora
perché il Governo italiano non accusa il Governo dello Stato di New York di
truffa? Perché costui manderebbe al diavolo il Governo italiano, rispondendo
che esso applica una sua norma sovrana nel rispetto del GATT, dei TRIPs e di
tutti i trattati internazionali sul commercio.
Ora, insediare un’azienda, o risiedere, ad es., in uno
degli Stati balcanici (la costa orientale dell’Adriatico la cui distanza
massima è come quella tra Milano e Bologna), foss’anche in Irlanda, Olanda
(ipotesi di Bulgari) comporta i seguenti vantaggi.
Le tasse sul
reddito sono al 10%; per investimenti superiori a 3 milioni di Euro c’è esenzione
quinquennale.
Oneri sociali: 16%
La libertà di
circolazione di merci e capitali è assoluta perché tutti gli Stati aderiscono
all’OMC.
Accesso ai
finanziamenti disponibili come fondi europei, quelli per l’accesso all’Unione, fondi nazionali d’incentivo, quelli
delle banche commerciali e d’investimento locale, più gli interventi dei Fondi
Sovrani, che in Italia non vengono più da qualche tempo, se mai sono venuti.
Disponibilità di manodopera piena e
qualificata
Possibilità di
vendere in Italia massima, come da affermazione sub c).
Per chi è
raccomandata l’internazionalizzazione?
In sostanza per tutti:
Studi
professionali
Ditte individuali
Società personali
Società mutue o cooperative
PMI agroindustriali,
artigianali, commerciali, di servizi.
Grandi imprese.
Quanti hanno
bisogno di aria nuova per il proprio lavoro.
Alle aziende, che abbiano particolari motivi legati al
territorio o all’impossibilità di rilocare la loro attività produttiva, si può
consigliare di creare una sede operativa (nuova ragione giuridica, oppure
costituzione di ramo d’impresa a contabilità separata), che diventa “centro di
profitto” e lasciare in Italia la pura produzione, che diventa “centro di costo”.
L’azienda italiana produce per il suo centro di profitto, che avrà il solo
scopo di fatturare e maturare profitti in un sistema molto più conveniente per
l’impresa.
Si può costituire, ad es., una nuova ragione giuridica o
un ramo d’impresa in Croazia, Albania, Montenegro, continuando a vendere ai
propri clienti italiani, oppure esteri, gli stessi prodotti di sempre. Si paga
solo il 10% di tasse sul reddito e nessuna IVA, perché il bene è considerato d’esportazione
dove non insiste l’IVA comunitaria. Quindi, se un produttore aggiunge un semplice
guadagno del 10% sui suoi costi, ha un utile netto dell'8%.
E' cosi difficile da capire questo concetto su cui ogni
impresa (manifatturiera o professionale) dovrebbe orientarsi? L'operatore può
aprire anche solo un ufficio commerciale, con sede giuridica presso una società
di servizi, che gli mette a disposizione commercialista, avvocato e quant'altro
serva, in modo tale che la sua azienda italiana funga da "centro di
costo" e quella estera come "centro di profitto". Il centro di
profitto può essere gestito a distanza, così come i suoi conti bancari. In
questo modo il prezzo finale del prodotto può essere ridotto fino al 50%. Il
centro di costo spedisce al cliente e fattura al centro di profitto. Il centro
di profitto fattura al cliente. Tutto questo è perfettamente "secundum
legem". L'Agenzia delle Entrate può dire e fare tutto quello che
vuole. Se lo fa, è lei "contra legem" dal momento che queste sono
disposizioni lecite, perché previste (secundum legem), o lecite perché non
ritenute illecite (praeter legem).
Orbene, mentre nei principali ordinamenti giuridici tutto
ciò che non è proibito, è lecito, in quello italiano si pretende che quanto non
è espressamente autorizzato, sia proibito.
Questa è un’aberrazione giuridica tipica italiana in
contrasto con la normativa dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e
dell’Unione Europea, due organismi cui l’Italia aderisce a pieno titolo.
Pertanto, per ogni azienda internazionalizzarsi è un “dovere” di sana e corretta
amministrazione e non un tentativo di evasione fiscale. Scopo dell’azienda è
essere efficiente, non pagare tasse ad un sistema inefficiente.
Non conosco minimamente i dettagli dell’operazione
“Bulgari”, se davvero l’azienda sia stata pignorata perché ha operato per
internazionalizzarsi, quindi non mi pronuncio, ma mi chiedo: se un’azienda non
guadagna quanto lo Stato impone di guadagnare, viene accusata di elusione
fiscale? Queste sono cose da pazzi o da ladri?
15 marzo 2013
Enrico Furia
http://www.aneddoticamagazine.com
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