Un blog per vendere all'estero

Vendere all'estero è una grande opportunità per le aziende italiane, tutte, specie quelle artigianali, piccole e medie.
In questo blog lavoreremo insieme per trovare la strada migliore e avere successo con facilità.

Tra vent’anni sarai più deluso delle cose che non hai fatto che di quelle che hai fatto. E allora molla gli ormeggi. Lascia i porti sicuri. Lascia che gli alisei riempiano le tue vele. Esplora. Sogna

Mark Twain.


venerdì 12 aprile 2013

Finanziare le aziende per esportare? Perché non ricorrere all'estero?




Sergio Zicari, consulente senior di Akon,  combatte a favore delle PMI spesso, come molti, proprio contro le stesse PMI: perché per quanto possa sembrare assurdo le maggiori resistenze a uscire dalla crisi e dalle sabbie mobili le sollevano proprio gli imprenditori travolti, anche in buona fede, da un immobilismo che si radica su due storici errori riassumibili nelle ben note espressioni “abbiamo sempre fatto così” e “il nostro mercato è diverso”. Zicari svolge prevalentemente il suo ruolo nel campo della ricerca di finanziamenti per le imprese, senza che questo gli preluda di offrire la sua competenza anche in altri settori. La sua biografia completa compare in coda a questa intervista.

Quali sono i problemi che le PMI italiane oggi devono fronteggiare?
Ne identificherei fondamentalmente quattro: due di natura esterna all’impresa e altri due di natura interna. I primi due sono: conquistare nuovi clienti e disporre della liquidità necessaria. Si tratta di problemi “storici” che però ora richiedono un approccio sostanzialmente nuovo. L’approccio ai clienti e alle banche oggi richiede una determinazione e una proattività a cui pochi imprenditori sono familiari. I secondi sono: un senso di sfiducia generale e una percezione di ineluttabilità degli eventi. Si noterà che tutti e quattro sono legati alla capacità di reazione dell’imprenditore non a persone, fatti o organizzazioni a lui esterne. Il dramma, oggi,  è che sembra che tutti stiano aspettando un qualche miracolo  da un “deus ex machina”, sia esso un governo nazionale, la Comunità Europea, un accordo del G8 e così via. Sembra che la classe imprenditoriale e quella politica, nonché i cittadini in genere, abbiano dimenticato quanto diceva il senatore USA Phil Gramm che «Non è il governo a generare la crescita economica, è la gente che lavora.»
Come e dove è possibile recuperare fonti di finanziamento?
Così come – per reagire alla riduzione della domanda del mercato interno – è normale cercare nuovi clienti e  fornitori più convenienti all’estero, dovrebbe essere naturale per un’impresa italiana rivolgersi anche al mercato finanziario di altri Paesi.  Non solo ci sono banche e investitori stranieri disponibili a finanziare imprese italiane, ma soprattutto a farlo non sulla base degli sterili dati di una centrale rischi o di un passato immacolato, bensì sull’esperienza della compagine societaria e sulla validità di uno specifico progetto. E senza chiedere garanzie reali o firme personali.
Ma, per quanto incredibile possa sembrare, una importante fonte di finanziamento potrebbe venire proprio dalle banche con cui stiamo lavorando o abbiamo lavorato in passato. Mi riferisco al denaro che moltissime di loro ci hanno indebitamente sottratto con le cosiddette anomalie finanziarie: anatocismo e usura. Perché non farci restituire il maltolto
Come suggerisce di muoversi alle imprese?
Con prudenza ma anche con decisione. Con prudenza perché – nel caos generale – è possibile capitare davanti a proposte, non dico ingannevoli, ma che possono rivelarsi aleatorie.  Con decisione perché non c’è tempo da perdere. Troppi imprenditori hanno aspettato a cercare  soluzioni alternative solo quando ormai avevano l’acqua alla gola. Non ci si può aspettare di trovare finanziatori  (banche, istituti finanziari, nuovi soci ecc.) quando l’osso non ha più un pezzetto di carne attaccata.
Che tipi di servizi offre in questo campo?
Finanziamenti per progetti di sviluppo anche per aziende con problemi finanziari o segnalazioni in CR; ripianificazione debiti o mutuo liquidità per chi ha immobili;  cessione immobile (per fare liquidità) continuando a utilizzarlo per la propria attività pagando un affitto con diritto di riscatto; apertura conti correnti in UK anche a soggetti protestati; emissione garanzie e sconto 100% promissory notes relative a contratti commerciali relativi a qualunque Paese (Asia, Africa, Est Europa ecc.) e qualunque categoria merceologica. Senza dimenticare la possibilità di scoprire, tramite un checkup gratuito, quante decine – se non centinaia di miglia di euro – potremmo farci restituire dagli istituti di credito (su un fido di 30mila euro, in piedi da 5 anni, facilmente c’è stato praticato anatocismo e usura per 20mila euro).
Quali errori vede commettere in campo finanziario alle imprese?
Innanzitutto una sudditanza psicologica verso le banche. Invece di trattarle come un qualunque altro fornitore (messa in concorrenza, richiesta preventivi, se non mi soddisfi ti cambio con qualcun altro ecc.), l’approccio dell’imprenditore che va a parlare con la banca è ancora quello del cappello in mano.  Un secondo grave errore è quello di fidarsi di una banca semplicemente perché ha un sontuoso ufficio dove ci si può recare fisicamente e diffidare invece di quelle banche che operano tramite consulenti esterni, come se avere una targa sulla porta dell’ambulatorio ci garantisse delle capacità e della professionalità di un medico e come se dovessimo diffidare dello sconosciuto con una valigetta da medico in mano mentre si offre di soccorrerci (e magari salvarci la vita) quando siamo rimasti coinvolti in un incidente stradale.   Terzo drammatico errore è quello di rifiutare un possibile finanziamento perché, per ottenerlo, c’è un costo da sostenere, ignorando completamente quello che è il costo (reale, benché non documentato da un’uscita contabile) che dovremo sopportare nel non ottenerlo! Quarto dannosissimo errore: le decisioni sempre rinviate (sindrome del «Ci stiamo pensando / Stiamo valutando»). Mentre l’imprenditore aspetta, il mercato corre, i concorrenti agiscono, i clienti comprano (dagli altri).
E nell’area della vendita all’estero: quali sono gli sbagli più frequenti?
Pensare che si possa vendere all’estero, fosse anche nel Paese più retrogrado, senza una attenta strategia e un preciso piano di azione e senza bisogno di investire tempo e capitali adeguati. Anche qui vale il detto «I soldi fanno i soldi» (e il suo corollario «La miseria (o la tirchieria) fa la miseria»). Pensare che all’estero si possano cogliere i “frutti fuori stagione”. C’è un tempo per sarchiare, un tempo per concimare, un tempo per seminare, un tempo per irrigare, un tempo per togliere gli infestanti. Solo dopo arriva il tempo per raccogliere. Terzo errore è credere che le competenze tradizionali dell’azienda siano esattamente trasmissibili all’estero e che non serve alcun “aiuto”. Un’adeguata dose di umiltà dovrebbe suggerire la necessità, almeno per un certo tempo, di acquisire competenze esterne.
Che cosa dovrebbero fare le aziende per rendersi competitive verso l’estero?
La parola “estero” è un termine quanto mai generico. Non possiamo pensare di vendere in qualunque nazione né, men che meno, che possiamo farlo in un certo luogo perché “è di moda”, “ci stanno andando tutti” o “c’è andato anche il nostro concorrente”. Il primo passo, quindi, è quello di comprendere qual è il “nostro” nuovo mercato. Dobbiamo apprendere il più possibile  su quel Paese dal punto di vista non solo commerciale o industriale ma anche da quello storico, sociale e umano onde evitare spiacevoli gravi errori (come ben spiega l’ultimo mio libro “Fare Business in India – una guida per la PMI”, o quello di Paolo Pugni “Export primi passi” entrambi usciti in questi giorni per la FrancoAngeli). Dobbiamo capire non solo la lingua, ma soprattutto il “linguaggio” del pubblico al quale vogliamo rivolgerci. Capirne i valori in modo da veicolare correttamente la nostra comunicazione istituzionale e “privata”.
Per farlo abbiamo bisogno di rivolgerci a chi quel mondo già conosce, a chi, in quel mondo, ha fatto già degli errori (così preziosi per noi, perché non andremo a ripeterli).
Le imprese dovranno anche dotarsi di una sufficiente liquidità per completare l’intero percorso  (dalla “speranza” al successo) senza intoppi, freni, ritardi, tentennamenti, pause.



Brevi note biografiche

Sergio Zicari è consulente senior Akón Comunicazione e Marketing, Business Partner Centro di Cooperazione Italia-Utah, nonché Responsabile nazionale rapporti con la stampa per un ente morale. Socio FERPI, scrive su comunicazione, marketing e vendite. Ha svolto ricerche di mercato in Inghilterra, Irlanda, Francia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania, Ungheria e Bulgaria. È coautore di Comunicare le professioni intellettuali (Spazio RP-Ferpi, 2008); Il primo incontro non si scorda mai (FrancoAngeli, 2009); Come comunicare il terzo settore (FrancoAngeli, 2010); L’accoglienza dei volontari nel terzo settore (Cesvot, 2011); Il controllo di gestione nel terzo settore (FrancoAngeli, 2012); Fare business in India (Franco Angeli 2013) . È curatore di Come Negoziare, edizione italiana di “Como negociar”, di Homero S. Amato, Brasile (Liguori Editore, Napoli, 2012)  e di Impegno Totale, edizione italiana di “All Inn” di A. Gostick e C. Elton, USA (FrancoAngeli, 2013) (sergio.zicari@akon.it).

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