Sergio Zicari, consulente senior di Akon, combatte a favore delle PMI
spesso, come molti, proprio contro le stesse PMI: perché per quanto possa
sembrare assurdo le maggiori resistenze a uscire dalla crisi e dalle sabbie
mobili le sollevano proprio gli imprenditori travolti, anche in buona fede, da
un immobilismo che si radica su due storici errori riassumibili nelle ben note
espressioni “abbiamo sempre fatto così” e “il nostro mercato è diverso”. Zicari
svolge prevalentemente il suo ruolo nel campo della ricerca di finanziamenti
per le imprese, senza che questo gli preluda di offrire la sua competenza anche
in altri settori. La sua biografia completa compare in coda a questa intervista.
Quali sono i problemi che le PMI italiane oggi devono
fronteggiare?
Ne identificherei
fondamentalmente quattro: due di
natura esterna all’impresa e altri due di natura interna. I primi due sono: conquistare nuovi clienti e disporre della liquidità
necessaria. Si tratta di problemi “storici” che però ora richiedono un
approccio sostanzialmente nuovo. L’approccio ai clienti e alle banche oggi
richiede una determinazione e una proattività a cui pochi imprenditori sono
familiari. I secondi sono: un senso di
sfiducia generale e una percezione di ineluttabilità degli eventi. Si
noterà che tutti e quattro sono legati alla capacità di reazione
dell’imprenditore non a persone, fatti o organizzazioni a lui esterne. Il dramma, oggi, è che sembra che tutti stiano aspettando
un qualche miracolo da un “deus ex
machina”, sia esso un governo nazionale, la Comunità Europea, un accordo del G8
e così via. Sembra che la classe
imprenditoriale e quella politica, nonché i cittadini in genere, abbiano dimenticato quanto diceva il senatore
USA Phil Gramm che «Non è il governo a generare la crescita economica, è la gente che
lavora.»
Come e dove è possibile recuperare fonti di finanziamento?
Così come – per reagire alla riduzione della
domanda del mercato interno – è normale cercare nuovi clienti e fornitori più convenienti all’estero, dovrebbe essere naturale per un’impresa
italiana rivolgersi anche al mercato finanziario di altri Paesi. Non solo ci sono banche e investitori
stranieri disponibili a finanziare imprese italiane, ma soprattutto a farlo non
sulla base degli sterili dati di una centrale rischi o di un passato
immacolato, bensì sull’esperienza della compagine societaria e sulla validità
di uno specifico progetto. E senza chiedere garanzie reali o firme personali.
Ma, per quanto
incredibile possa sembrare, una importante fonte di finanziamento potrebbe
venire proprio dalle banche con cui stiamo lavorando o abbiamo lavorato in
passato. Mi riferisco al denaro che moltissime di loro ci hanno indebitamente
sottratto con le cosiddette anomalie finanziarie: anatocismo e usura. Perché non farci restituire il maltolto?
Come suggerisce di muoversi alle imprese?
Con prudenza ma
anche con decisione. Con prudenza perché – nel caos generale – è possibile
capitare davanti a proposte, non dico ingannevoli, ma che possono rivelarsi
aleatorie. Con decisione perché
non c’è tempo da perdere. Troppi imprenditori hanno aspettato a cercare soluzioni alternative solo quando ormai
avevano l’acqua alla gola. Non ci si può
aspettare di trovare finanziatori
(banche, istituti finanziari, nuovi soci ecc.) quando l’osso non ha più
un pezzetto di carne attaccata.
Che tipi di servizi offre in questo campo?
Finanziamenti per
progetti di sviluppo anche per aziende con problemi finanziari o segnalazioni
in CR; ripianificazione debiti o mutuo liquidità per chi ha immobili; cessione immobile (per fare liquidità)
continuando a utilizzarlo per la propria attività pagando un affitto con
diritto di riscatto; apertura conti
correnti in UK anche a soggetti protestati; emissione garanzie e sconto
100% promissory notes relative a contratti commerciali relativi a qualunque
Paese (Asia, Africa, Est Europa ecc.) e qualunque categoria merceologica. Senza
dimenticare la possibilità di scoprire, tramite un checkup gratuito, quante
decine – se non centinaia di miglia di euro – potremmo farci restituire dagli
istituti di credito (su un fido di 30mila euro, in piedi da 5 anni, facilmente
c’è stato praticato anatocismo e usura per 20mila euro).
Quali errori vede commettere in campo finanziario alle imprese?
Innanzitutto una
sudditanza psicologica verso le banche. Invece di trattarle come un qualunque
altro fornitore (messa in concorrenza, richiesta preventivi, se non mi soddisfi
ti cambio con qualcun altro ecc.), l’approccio dell’imprenditore che va a
parlare con la banca è ancora quello del cappello in mano. Un secondo grave errore è quello di
fidarsi di una banca semplicemente perché ha un sontuoso ufficio dove ci si può
recare fisicamente e diffidare invece di quelle banche che operano tramite
consulenti esterni, come se avere una targa sulla porta dell’ambulatorio ci
garantisse delle capacità e della professionalità di un medico e come se
dovessimo diffidare dello sconosciuto con una valigetta da medico in mano
mentre si offre di soccorrerci (e magari salvarci la vita) quando siamo rimasti
coinvolti in un incidente stradale.
Terzo drammatico errore è quello di rifiutare un possibile finanziamento
perché, per ottenerlo, c’è un costo da sostenere, ignorando completamente
quello che è il costo (reale, benché non documentato da un’uscita contabile)
che dovremo sopportare nel non ottenerlo! Quarto dannosissimo errore: le decisioni sempre rinviate (sindrome del
«Ci stiamo pensando / Stiamo valutando»). Mentre l’imprenditore aspetta, il
mercato corre, i concorrenti agiscono, i clienti comprano (dagli altri).
E nell’area della vendita all’estero: quali sono gli sbagli più
frequenti?
Pensare che si
possa vendere all’estero, fosse anche nel Paese più retrogrado, senza una attenta strategia e un preciso
piano di azione e senza bisogno di investire tempo e capitali adeguati.
Anche qui vale il detto «I soldi fanno i soldi» (e il suo corollario «La
miseria (o la tirchieria) fa la miseria»). Pensare che all’estero si possano
cogliere i “frutti fuori stagione”. C’è un tempo per sarchiare, un tempo per
concimare, un tempo per seminare, un tempo per irrigare, un tempo per togliere
gli infestanti. Solo dopo arriva il tempo per raccogliere. Terzo errore è credere che le competenze tradizionali dell’azienda
siano esattamente trasmissibili all’estero e che non serve alcun “aiuto”.
Un’adeguata dose di umiltà dovrebbe suggerire la necessità, almeno per un certo
tempo, di acquisire competenze esterne.
Che cosa dovrebbero fare le aziende per rendersi competitive verso
l’estero?
La parola “estero” è un termine quanto mai
generico. Non possiamo pensare di vendere in qualunque nazione né, men che
meno, che possiamo farlo in un certo luogo perché “è di moda”, “ci stanno
andando tutti” o “c’è andato anche il nostro concorrente”. Il primo passo, quindi, è quello di comprendere qual è il “nostro”
nuovo mercato. Dobbiamo apprendere il più possibile su quel Paese dal punto di vista non
solo commerciale o industriale ma anche da quello storico, sociale e umano onde
evitare spiacevoli gravi errori (come ben spiega l’ultimo mio libro “Fare Business in India – una guida per la
PMI”, o quello di Paolo Pugni “Export
primi passi” entrambi usciti in questi giorni per la FrancoAngeli). Dobbiamo
capire non solo la lingua, ma soprattutto il “linguaggio” del pubblico al quale
vogliamo rivolgerci. Capirne i valori in modo da veicolare correttamente la
nostra comunicazione istituzionale e “privata”.
Per farlo abbiamo bisogno di rivolgerci a chi
quel mondo già conosce, a chi, in quel mondo, ha fatto già degli errori (così
preziosi per noi, perché non andremo a ripeterli).
Le imprese dovranno anche dotarsi di una
sufficiente liquidità per completare l’intero percorso (dalla “speranza” al successo) senza
intoppi, freni, ritardi, tentennamenti, pause.
Brevi note biografiche
Sergio Zicari è consulente senior Akón
Comunicazione e Marketing, Business Partner Centro di Cooperazione Italia-Utah,
nonché Responsabile nazionale rapporti con la stampa per un ente morale. Socio FERPI, scrive su comunicazione, marketing e vendite. Ha svolto ricerche di mercato in Inghilterra, Irlanda, Francia, Polonia,
Repubblica Ceca, Romania, Ungheria e Bulgaria. È
coautore di Comunicare le professioni
intellettuali (Spazio RP-Ferpi, 2008); Il
primo incontro non si scorda mai (FrancoAngeli, 2009); Come comunicare il terzo settore (FrancoAngeli, 2010); L’accoglienza dei volontari nel terzo
settore (Cesvot, 2011); Il controllo
di gestione nel terzo settore (FrancoAngeli, 2012); Fare business in India (Franco Angeli 2013) . È curatore di Come Negoziare, edizione italiana di
“Como negociar”, di Homero S. Amato, Brasile (Liguori Editore, Napoli, 2012) e di Impegno Totale, edizione italiana di “All Inn” di A. Gostick e C.
Elton, USA (FrancoAngeli, 2013) (sergio.zicari@akon.it).
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